martedì 9 maggio 2017

Arrival

Titolo originale: Arrival
Paese: USA
Anno: 2016
Regia: Denis Villeneuve
Cast: Amy Adams, Jeremy Renner (altresì detto "occhio di falco"), Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg
Genere: fantascienza


Cari lettori e, soprattutto, care lettrici, eccomi di ritorno con una recensione promessa circa un secolo fa ma che, finalmente, vede la luce e sto parlando del fantasmagorico “Arrival” del velocissimo Denis Villeneuve!
Premetto dicendo che la persistente assenza mia e del mio collega dalle pagine di questo blog è dovuta al fatto che siamo entrambi latitanti e ricercati  da pool di intelligence internazionali e perciò eravamo impossibilitati a scrivere con regolarità, al fine di non lasciare tracce dei nostri spostamenti transcontinentali!
Ok, finita la premessa con cui goffamente chiedo venia per l’assenza prolungata, inseriamo la quinta e partiamo a piena velocità con la presentazione di questo gioiellino di genere sci- fi che spero vivamente non vi siate persi.
La pellicola è stata diretta dal giovane e geniale Denis Villeneuve, regista ultimamente chiacchierato e già autore di ottimi film come “Sicario”, “Prisoners” o “Enemy” e con l’incombente e soverchiante compito di trasporre su grande schermo il seguito di uno dei più bei film di fantascienza mai realizzati, ossia “Blade Runner”, il quale ha avuto il merito di inventare e reinventare un linguaggio all’interno della fantascienza cosiddetta “adulta” e di esser stato a sua volta ispiratore per pellicole, interi generi e centinaia di opere successive appartenenti ai più svariati ambiti della cultura pop e non.

Il regista canadese che aveva fin’ora diretto quasi esclusivamente thriller, si cimenta dunque per la prima volta in un genere differente e, se questa pellicola doveva servire da cartina di tornasole per sondare la bontà dell’imminente regia di "Blade Runner 2049", posso affermare che, almeno per me, la prova è stata pienamente superata e il sequel di quella pietra miliare della sci-fi non poteva finire in mani migliori.
Ecco svelato l'arcano mistero di come arrivarono i monoliti a Stonehenge!

La pellicola in questione è la più o meno fedele trasposizione del racconto di Ted Chiang “Storie della tua vita” e mette in scena una storia apparentemente poco originale, cioè quella del “primo contatto” (in questo caso con 12 astronavi aliene e i loro occupanti atterrate in svariate zone del globo) ma trasforma un plot classico per molteplici pellicole hollywoodiane in un grandioso affresco fantascientifico!
Fin dalle prime battute si inizia con alcune scene da antologia della storia del cinema e saltano subito all’occhio quali siano stati i riferimenti visivi e concettuali da cui Villeneuve  ha attinto per il suo film e, su di tutti, spiccano la geometria e l’estremo rigore di alcune immagini che prendono spunto dall’estetica kubrickiana, un certo tipo di narrazione di stampo spielberghiano con, però, un’attenzione al dettaglio, alla psicologia e ai drammi dei personaggi seguiti sin nella loro intimità e mantenendo sempre un ritmo lento e pacato tipica del miglior Terrence Malick (cioè non quello degli ultimi anni, ahimè). Il ritmo molto “riflessivo” e la lentezza degli impercettibili movimenti di macchina che portano a scoprire le immagini passo dopo passo sono, a mio avviso, un punto di forza di questa pellicola e fanno pienamente parte del modo di narrare storie che adotta Villeneuve e, anziché appesantire la visione, riescono a rendere il tutto ancor più coinvolgente (un po’ come accadeva con “2001: Odissea nello spazio”) ed omogeneo.

A livello registico, inoltre, penso che Villeneuve abbia già raggiunto il suo apice con pellicole precedenti ed ora non faccia altro che riconfermare le sue ottime doti; ad un’ispiratissima regia è affiancata una fotografia non da meno: fredda, tagliente, prevalentemente dominata da toni cupi, giocati sulla scale del blu e del grigio e il tutto è condito con una realizzazione tecnica di prim’ordine, sia per quanto riguarda il design dei “vascelli spaziali”, sorta di gusci con un’estetica davvero intrigante che richiama il monolito nero di "2001: Odissea nello spazio" e lo stesso materiale di cui sono composti sembra un miscuglio di roccia porosa e metalli; altrettanto originale è la realizzazione degli alieni, non i soliti omini grigi o verdi che tanta cinematografia di Hollywood ha voluto imporre nell’immaginario comune attraverso un processo di antropomorfizzazione degli abitanti della galassia ma degli eptapodi simili a polpi o a piovre e che, personalmente, mi hanno ricordato gli “Antichi” lovecraftiani, questi immensi ed inimmaginabili mostri tentacolari/divinità, tipici appunto del mito di Cthulhu.
Questi alieni sono dei gran fumatori!

Gran pregio della pellicola è riuscire, nell’arco della prima mezz’ora, a costruire una crescente tensione che porta lo spettatore a voler scoprire come siano fatti questi alieni anche se il maggior stupore deriva dall’approccio linguistico/culturale e, a suo modo, “scientifico” con cui gli umani cercano di “comunicare” con gli alieni. La pellicola riesce dunque ottimamente nell’arduo compito di instillare nello spettatore  una certa curiosità nel cercare di comprendere le strategie utilizzate da linguisti e scienziati per interpretare una cultura “aliena”, “diversa” da quelle terrestri ma ricercando una comune base di comprensione attraverso segni, parole o numeri, pensati come i mattoni universali di qualsiasi linguaggio. Vengono a tal fine presentate alcune teorie davvero stimolanti e collegate al concetto di “origine di una lingua” e di metalinguistica come, per esempio, la possibilità che un sistema linguistico non abbia un ”inizio” e una “fine”, in cui il pensiero ed il senso di una frase non si forma mentre la si scrive parola dopo parola ma che possa esistere un sistema nel quale intere frasi, concetti e significati siano racchiusi in un unico segno dal valore circolare e dunque il processo mentale non sarebbe più progressivo ma, nel momento in cui si disegna un simbolo, esso comprenderebbe già un' intera accezione, espletabile nell’unicità del gesto. Di fatto gli alieni comunicano con simboli circolari e la trama stessa del film si dimostrerà circolare.
La classica macchia di caffè formato famiglia!

Oltre all’aspetto metalinguistico, vi è un aspetto di meta-narrazione, infatti come i protagonisti provano difficoltà nel comprendere gli alieni, per buona parte della pellicola gli spettatori non comprendono appieno ciò che il film ci vuole farci capire o narrare; questo aspetto che  può far presagire a un certo ermetismo della narrazione verrà, però, poi limato e compreso all’interno di uno struggente finale che chiarificherà l’intera vicenda.
Campagna di sensibilizzazione contro l'abbandono delle rosse!
Un finale struggente che può essere raggiunto solamente se un ottimo cast ha costruito passo do passo una certa gravitas della vicenda narrata e, anche in questo caso, Arrival riesce alla perfezione a trasmetterci un ampia gamma di emozioni tramite un cast di attori in stato di grazia: la Louise Banks interpretata dalla Adams (quanto adoro il suo naso!) non fa altro che riconfermare quanto questa attrice sia fantastica, una delle migliori della sua generazione per il sottoscritto (molto meritevole sempre lo scorso anno anche nell'interpretazione di quel gioiellino di "Animali notturni", di cui parleremo, croce sul cuore) e trasporta su schermo un personaggio carico di umanesimo che ha subito un grave trauma e faticosamente tenta di proseguire nel cammino della sua vita, come era stata ripresa nella sua botticelliana bellazza in "Animali notturni", qui ci viene presentata sfatta, spossata, col viso solcato dalle rughe e dall'impotenza di fronte all'ineluttabilità di alcuni eventi negativi; il fisico Ian Donnelly interpretato da Jeremy Renner (già candidato agli oscar ben due volte, quindi non solo cinecomic se ve lo stavate chiedendo) è altrettanto in parte, anche se il suo character ha un ruolo meno incisivo nella vicenda ma risulta complementare al personaggio di Amy; infine il colonnello Weber di Forest Whitaker (oscar per "L'ultimo re di Scozia") è utile a rappresentare una certa ottusità tipica dell'approccio militare a questioni di natura non prettamente bellica. 

Tornando ora al discorso riguardante la realizzazione della tecnologia delle navi aliene, va precisato che queste ultime hanno un design davvero singolare, sembrano gusci di pietra levigata che galleggiano nell'aria e non vi sono spiegazioni della loro tecnologia come non vi è alcuna spiegazione di diversi aspetti della fisicità o della fisiologia degli alieni: come fanno a respirare? come fluttuano le astronavi? Di che materiale sono fatti i loro vascelli spaziali? Perchè comunicano in quel modo? Nessuna di queste domande troverà risposta ma proprio questa scelta di non voler servire su un piatto d'argento delle risposte non fa altro che aumentare l'allure di mistero che ruota intorno all'epifania di questi alieni ed ha il pregio di far sì che nella mente dello spettatore si generino queste domande a cui tentare di rispondere dando sfogo alla propria fantasia il più possibile!

E anche per questo e per il fatto che capita ormai fin troppo di rado di vedere un film in sala di cui discutere sul contenuto per i giorni a venire, ben fatto Villeneuve!
Al primo incontro c'è sempre un po' di imbarazzo!
Infine, per quanto riguarda la conclusione di questa pellicola, essa merita un paragrafo a sè. Il finale è molto emblematico e profondo; da un certo punto in avanti l'umana visione sequenziale degli eventi inizierà a scardinarsi e verrà sostituita dall'aliena concezione circolare del tempo, da quel momento in poi non ha più senso parlare di passato e futuro poichè essi accadono ripetutamente negli stessi istanti e per sempre ed è qui che la scelta della protagonista di abbracciare il proprio destino senza intralciare o modificare l'ordine delle cose, compiendo un sacrificio enorme a favore di un bene superiore, porta il suo gesto ad essere interpretabile come un vero e proprio atto d'amore verso l'umanità! 
"Il castello dei Pirenei" di Magritte, possibile fonte d'ispirazione?
Dunque l'opera ultima di Villeneuve si fa portatrice di importanti tematiche: la comunicazione deve essere intesa come mezzo per colmare il piccolo divario che c'è tra un essere vivente e l'altro (ben rappresentato, tra la'ltro, dal piccolissimo spazio che le astronavi lasciano con la Terra e, ogni volta che si genera un cortocircuito comunicativo, il divario aumenta) e comunicare con un altro popolo e comprenderne la scrittura significa iniziare a capire come pensa e dunque a meglio empatizzare con esso; la comunicazione non deve, però, esser utilizzata come "arma" (parola chiave dal duplice aspetto nel film) come avviene spesso tramite informazioni strumentalizzari (tg spazzatura), un uso distorto del linguaggio attuato dai media o come violenta dialettica a fini impositivi o propagandistici tra gli Stati ma deve assumere il valore di bene universale: ecco, dunque, che il messaggio del film passa dall'importanza di "comprendersi" all'importanza di "comunicare" tra noi tutti popoli della Terra.


Perciò, se non lo avete ancora visto, fatevi del bene, e correte a recuperare l'ultima fatica di Villeneuve! Potrà sembrare troppo complicato per il grande pubblico o troppo poco hard sci-fi per l'amante del genere ma, indubbiamente, si tratta di una delle meglio riuscite unioni tra blockbuster e cinema d'autore degli ultimi anni!

Voto9 ½

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