lunedì 29 maggio 2017

La battaglia di Hacksaw Ridge




Titolo originale: Hacksaw Ridge
Paese: USA
Anno: 2016
Regia: Mel Gibson
Cast: Andrew Garfield, Vince Vaughn, Hugo Weaving
Genere: storico, drammatico, biografico, guerra


Questa recensione doveva essere pubblicata a Febbraio; non si può proprio dire che io non sia una persona imprevedibile. Però per i fatti privati che avevo detto nella recensione sottostante mi sono arenato. Quindi dai, facciamo un po' di controlli ortografici, mettiamo qualche frase ad effetto e pubblichiamo!

Come da titolo, sto parlando dell'ultima fatica di Mel Gibson, "La battaglia di Hacksaw Ridge", pellicola che racconta la giovinezza e la grande impresa di Desmond Doss, un soldato obiettore di coscienza che, durante una manovra militare americana sull'isola di Okinawa salvò la vita di 75 persone senza aver mai tenuto in mano un'arma da fuoco.

Questo film per molti è stato definito come il biglietto di Gibson per tornare nell'Olimpo del cinema dato il grande spessore di questa storia a stelle e strisce. Ma la mia domanda, una volta uscito dalla sala, è stata: "Questo è un Film con la F maiuscola oppure il fatto storico è talmente di valore che può oscurare il modo con cui è stato narrato?".


#Dilemmoni


Diciamo che dopo quattro mesi e mezzo di riflessioni, penso di aver trovato la risposta, ma, come al solito, parto sempre dalla trama che posso dividere tranquillamente in tre parti:

1) Desmond Doss (Andrew Garfield) è un ragazzino cresciuto con una madre devota alla Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno (tipo CL ma senza le tangenti, suppongo) e un padre alcolizzato vittima di stress post traumatico della Grande Guerra. A 23 anni, Desmond è fermamente convinto che il comandamento più importante sia il "non uccidere" e, accompagnando un suo amico in ospedale dopo un incidente, rimane affascinato dal mondo della medicina e capisce che il suo scopo nella vita sarà quello di salvare le vite umane. In questo ospedale si innamora di un'infermiera (interpretata da Teresa Palmer). Di sottofondo si sentono spesso le notizie su Hitler, che fanno leva sulla coscienza di Desmond il quale, desideroso che quello spargimento di sangue finisca, decide di arruolarsi nell'esercito ma in qualità di obiettore di coscienza e per fare il medico da campo. Signore e Signori, avete visto "Forrest Gump" senza la parte in cui Jenny non la sgancia.


Questo tizio in pochi giorni: impara le basi della medicina, conosce una tipa rossa e se la limona duro. Insegnami Maestro!

2) In questa parte, si vede il massiccio addestramento dei marine in cui il nostro protagonista eccelle su tutti, tranne quando si passa all'uso delle armi: come scritto sopra, egli è un obiettore, la sua religione infatti sarebbe contro la violenza e dunque anche solo tenere in mano un fucile sarebbe peccato. Lo stesso problema avviene quando ci sono le esercitazioni al sabato, giorno per lui sacro e dedicato al riposo. Ovviamente questa cosa fa leggermente incazzare i suoi superiori, tra cui il sergente istruttore interpretato da Vincent Vaughn (c'è da dire che sono quasi vent'anni che lo vedo recitare solo in commedie, spesso demenziali e in questo film era meno credibile di un koala a guida di un aereo di linea) che cerca di convincerlo prima con le cattive e poi con le cattivissime, aizzando il battaglione contro il povero Desmond il quale, a un certo punto, viene addirittura arrestato per insubordinazione e portato a processo. Ma per fortuna a scagionarlo è il padre che entra in aula dicendo che il pacifismo del figlio è protetto per legge dal Congresso degli Stati Uniti. 

Certo, fa strano che sia dovuto intervenire il padre a un processo con avvocati che, tecnicamente, dovrebbero conoscere la legge insieme al giudice, ma si sa che Mel Gibson quando si parla di legge faccia sempre casini.

Signore e Signore, avete visto "Full Metal Jacket" senza la scena triste di Palla di Lardo.
Io sono il Sergente Hartman, vostro capo istruttore! La mia carriera cinematografica fa pena e qui cerco di darmi un tono!
Tutto chiaro ragazzi? Io sono un personaggio principale ma non mi atteggio come tale!

3) Ed ecco alla parte finale. Qui si mostra la brutalità della guerra, con grandi scene di violenza e morte, molto crude e ben girate, e vediamo l'essenza di questa storia: un ragazzo che fra trincee, proiettili vaganti, nemici pronti a tutto pur di non far avanzare il nemico e tanta paura non abbandonò nessun commilitone ferito, rimanendo per tutta una notte nella terra di nessuno per salvare chiunque fosse ancora vivo.
Gli verrà conseguentemente riconosciuto il suo grande coraggio, e dopo una nuova offensiva da parte dei Marines, l'isola di Okinawa sarà in mano agli americani e lui, ferito, tornerà a casa. Signore e Signori avete visto Flags of our fathers, un paio di clip di Forrest Gump e un pizzico di Salvate il Soldato Ryan.


Ora, io sono e probabilmente sarò sempre antiamericano convinto, ma ci sono dei momenti in cui riconosco imprese degne di lode e sì, riconosco che Desmond Doss sia stata una persona coraggiosa e da ammirare. D'altro canto però stiamo parlando di un film e, hainoi, su questo blog discuto della pellicola.

La domanda che ci siamo posti all'inizio merita dunque una risposta:"Questo è un Film con la F maiuscola oppure il fatto storico è talmente di valore che può oscurare il modo con cui è stato narrato?".

Secondo me, no. 

Il film è stato veramente superficiale sotto molti aspetti per risaltare elementi per me del tutto secondari, per strizzare l'occhio alla fetta di pubblico medio repubblicano che preferisce la parte della guerra e del sangue (in cui vengono fuori tutti gli stereotipi degli USA) piuttosto che sulla parte più umana.

Non a caso infatti io ho preferito, pur con limiti e scene già viste, le prime due parti, che posso definire come la fase di maturazione del personaggio anzichè paradossalmente il fatto più rilevante di tutta la storia.

Perchè Mel Gibson sarà stato un bravo attore e un discreto regista, ma secondo me quando si è trattato di mostrare la parte della battaglia abbia deciso di calcare la mano e quindi giù di clichè e situazioni pompose da ammmmerregani come ad esempio: l'amico che in addestramento era stronzo ma si scopre poi essere non così stronzo e che muore, l'amico sfigato e spaventato che sopravvive e fa sorridere il pubblico, il protagonista che fra millemila proiettili non viene mai colpito, il sergente stronzo che è stronzo solo perchè DEVE farlo per trasformare ragazzini in veri uomini.
Caliamo poi un velo pietoso su come Desmond lo abbia salvato; qui sotto avete una GIF fatta con le mie mani perchè a volte, certe descrizioni non possono rendere efficacemente l'idea:

Fuck yeah, America!

Insomma, una discrepanza completa di toni che non ho particolarmente digerito.

Pure il cast secondo me non è stato del tutto all'altezza, e stranamente non parlo di Andrew Garfield, che tutto sommato ha la faccia pulita da bravo uaglione che è riuscito a rispecchiare l'animo del protagonista, anche se devo dire che la nomination per l'Oscar mi è sembrata eccessiva; piuttosto mi riferisco all'accozzaglia di soldati presenti, tutti estremamente banali come quello tutto muscoli e niente cervello, quello un po' brutto ma simpatico, quell'esaltato dalla guerra... Insomma, elementi su elementi che obiettivamente mi hanno fatto storcere il naso.

Badate bene, non dico che queste cose non siano successe, perchè non dubito che molti volontari siano crepati perchè pensarono che la guerra fosse un gioco, ma è altresì vero che ci sono sicuramente modi migliori per rappresentare questo concetto ma questo film volente o nolente ha puntato molto più in basso.

E quindi si porta a casa due statuette (montaggi e sonori piuttosto meritati immagino) su sei nomiation all'Oscar: la domanda che mi pongo è: se fosse stato un normale film, non ispirato a una storia vera americana, cosa avrebbe detto la critica?

Insomma, non mi va giù questa cosa: il messaggio che questo non-soldato quale doveva essere? Che uccidere è sbagliato, che la violenza non è la risposta, che la guerra è devastante e non è la soluzione. 

Invece nulla, nella parte che dovrebbe essere più drammatica ho visto scene da film medio, dialoghi da film medio, un finale da film medio, come per dire che gli americani sono duri ma puri, portatori di democrazia ovunque e guai a metterti contro di loro che ti invadono nel sacro nome della Libertà.


E quindi non so; dite che sono eccessivamente cinico o siete d'accordo con il vostro amichevole Blogger di quartiere?

Certo, io mi trovo in una stanza buia, con un pc che sta facendo rumori parecchio inquietanti e non ho un terzo delle doti artische di attori holliwoodiani; cosa posso dire se non una personale e quindi opinabile recensione? Nulla, appunto, quindi ora ve la siete letta e se avete voglia, avete i commenti qui sotto o la nostra pagina Facebook per dare il vostro punto di vista.

Voto: 5

lunedì 22 maggio 2017

Alien - Covenant




Titolo originale: Alien - Covenant
Paese: USA
Anno: 2016
Regia: Ridley Scott
Cast: Michael Fassbender, Katherine Waterson, Billy Crudup, Danny McBride
Genere: Fantascienza, horror


Eccomi qui; per fortuna dopo un lasso di tempo inferiore fra l'uscita di quell'enorme cagata di Prometheus e questo Alien, torno a casa, sul mio caro blog.


Non starò qui a dirvi sul perchè io abbia snobbato per così tanto tempo questo piccolo pianeta nella galassia di Internet dato che si tratta di argomentare motivi troppo personali e dunque dubito che a voi possa fregare qualcosa.


Ad ogni modo, sul blog abbiamo parlato tanto di questa saga cinematografica di terrificanti mostriciattoli (Qui potete anche gustarvi una loro descrizione) e mi è sembrato giusto cogliere la palla al balzo e riprendere a scrivere proprio con questo film.


Alien - Covenant... Cosa posso dire?

Facciamo che quasi quasi oggi mi limito a una normalissima recensione, e, chissà, la prossima volta potrei fare un bel riassunto di questo universo cinematografico buio e cupo come uno Xenomorfo!

Ci siamo lasciati con Prometheus; la compagnia di goffi ricercatori è stata allegramente brutammazzata e gli unici superstiti, la dottoressa Shaw e l'androide cazzoide David, trovata un'astronave degli ingegneri ancora in funzione, decidono di impostare la rotta verso il pianeta di quest'ultimi con lo scopo di farci due chiacchiere e una partita a tressette col morto.


Covenant è invece un' astronave spaziale in missione di colonizzazione: essa trasporta (oltre l'equipaggio) ben 2000 embrioni umani in fresco pronti per popolare il pianeta Origae-6. Tempo stimato per raggiungere il pianeta: 7 anni. L'unico personaggio che si occupa della nave è Walter 8, ovviamente si tratta dell' ennesimo androide tuttofare mentre l'equipaggio umano se la dorme in sonno criogenico.


Per colpa di una tempesta di neutrini però i protagonisti vengono svegliati improvvisamente e la nave subisce alcuni danni: mentre stanno rattoppando il tutto, ecco che captano un segnale radio proveniente da un pianeta vicino.


Appurato che non si tratta di Radio Maria, i wannabe coloni decidono di cambiare la loro rotta perchè pare che quel pianeta sia abitale (ebbene sì, bastano due tocchi su un notepad e si capisce che un pianeta è abitabile. Ho buttato via i miei migliori anni per una facoltà che sarà sostituita da un'app di Android..) e lì scopriranno...come dire...robe.



Reazione di un fan della serie durante i primi 30 minuti


Signori, secondo me, Ridley Scott non è arrivato neanche alla frutta: ha spazzolato tutto quello che poteva spazzolare, è arrivato alla frutta e non vuole pagare conto e levarsi dai leghisti.

Sappiamo tutti che Prometheus è stato un flop colossale, è stato odiato anche dagli amanti più sfegatati di Alien e in cuor nostro sapevamo che fare un sequel peggiore del primo sarebbe stata un'impresa ancora più ardua del cercarmi una ragazza che quantomeno accetti la mia esistenza.


C'è da dire che quello scempio fatto a pellicola era nato dalla lodevoli intenzione di cambiare rotta rispetto all'intero franchise dei cattivi xenomorfi: prima infatti queste bestie erano i cattivi, gli umani morivano e i pochi sopravvissuti finivano felici e contenti, mentre l'ultima fatica di Scott doveva avere un'impronta più filosofica, rispondere a quesiti anche di un certo spessore (chi ci ha creati? da dove veniamo?perchè mi ostino a spendere soldi per questi film quando potrei evolverli in beneficenza?) e legare la storia umana con questo universo.


Ma sappiamo bene che il risultato fu deludente, quindi partire da delle basi già poco solide era scontato: e allora cosa ha pensato bene di fare il nostro regista?

Di ritornare lesto sui suoi passi, di fare un altro cambio di direzione e unire lo stile di Prometheus con quello di Alien del 1979 giusto per cercare di strizzare l'occhio ai vecchi fan e salvare il salvabile. E funziona?

Beh, fate voi... immaginatevi un tizio del 1979 e una ragazzina del 2000 che escono insieme e chiedetevi che fine può fare il genere umano.


(Che poi ci sono davvero delle coppie con gap d'età di parecchi lustri, ma stiamo andando a toccare argomenti che non sono di mia competenza..)

Ad ogni modo, questo Alien Covenant cosa può dare di più rispetto a quello classico?

Nulla, o quasi nulla: perchè certi quesiti hanno ottenuto delle risposte, è vero, ma onestamente mi sembravano delle forzature così goffe che paradossalmente non mi hanno neanche fatto incazzare più di tanto. D'altro canto stiamo paragonando Alien con un sequel di Prometheus, che è circa come paragonare una melodia di Beethoven con i Jonas Brothers.



Se pensi immediatamente a Ripley, un motivo c'è.

Esteticamente è fighissimo, come ogni altro film di Scott e ho apprezzato alcune scene che hanno richiamato i classici della fantascienza; però con un budget così nel 2017 sai la novità...E non possono bastare l'estetica e gli effetti speciali quando si tratta di Alien.




I personaggi non hanno un briciolo di spessore, sono solo elementi come altri messi lì direttamente per crepare: zero basi, zero empatia e che spesso prendono decisioni al limite del ridicolo nonostante siano tutti mega dottori, ricercatori e persone studiate. Evidentemente per fare i colloqui di assunzione personale per viaggi nello spazio si usa un criterio non del tutto efficiente:



Quindi per bere un bicchiere d'acqua farebbe esplodere la diga vicino casa ? Lei è l'uomo che fa per noi!


Una delle scene che onestamente volevo gustarmi (la scena di sesso trheesome con xenomorfo bellamente spoilerata nel trailer), è stata costruita così male ed è piena di intoppi logici che veramente mi sono chiesto come sia possibile rovinare uno dei cliché più gettonati nelle pellicole del cinema horror: è risaputo che chi tromba in questo genere di film muoia malissimo (Follows, Lo Squalo, American Spycho giusto per dirne alcuni) e quindi mi domando: "Come è possibile che accada una cosa del genere dopo così tanti spunti da poter utilizzare?".


Xenomorfo curioso!


Dubito fortemente che andrò a vedere altri film (esatto, ci saranno altri film, a meno di insuccessi al botteghino che mi auguro in ogni caso) perchè onestamente mi sono stufato di essere preso in giro da un regista che avrebbe dovuto ritirarsi dopo Thelma & Louise anzichè sfornare semi cazzate o cazzate intere.

Ci sono, guarda un po',  tanti altri quesiti che sono rimasti senza risposta in questo film, ma, come la vita spesso mi ha insegnato, certe volte è meglio che alcune domande non abbiano risposte, perchè esse potrebbero farti incazzare ancora di più dell'ignoto. (Come alla storie delle coppie con gap di età di parecchi lustri) 

Voto: 4

martedì 9 maggio 2017

Arrival

Titolo originale: Arrival
Paese: USA
Anno: 2016
Regia: Denis Villeneuve
Cast: Amy Adams, Jeremy Renner (altresì detto "occhio di falco"), Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg
Genere: fantascienza


Cari lettori e, soprattutto, care lettrici, eccomi di ritorno con una recensione promessa circa un secolo fa ma che, finalmente, vede la luce e sto parlando del fantasmagorico “Arrival” del velocissimo Denis Villeneuve!
Premetto dicendo che la persistente assenza mia e del mio collega dalle pagine di questo blog è dovuta al fatto che siamo entrambi latitanti e ricercati  da pool di intelligence internazionali e perciò eravamo impossibilitati a scrivere con regolarità, al fine di non lasciare tracce dei nostri spostamenti transcontinentali!
Ok, finita la premessa con cui goffamente chiedo venia per l’assenza prolungata, inseriamo la quinta e partiamo a piena velocità con la presentazione di questo gioiellino di genere sci- fi che spero vivamente non vi siate persi.
La pellicola è stata diretta dal giovane e geniale Denis Villeneuve, regista ultimamente chiacchierato e già autore di ottimi film come “Sicario”, “Prisoners” o “Enemy” e con l’incombente e soverchiante compito di trasporre su grande schermo il seguito di uno dei più bei film di fantascienza mai realizzati, ossia “Blade Runner”, il quale ha avuto il merito di inventare e reinventare un linguaggio all’interno della fantascienza cosiddetta “adulta” e di esser stato a sua volta ispiratore per pellicole, interi generi e centinaia di opere successive appartenenti ai più svariati ambiti della cultura pop e non.

Il regista canadese che aveva fin’ora diretto quasi esclusivamente thriller, si cimenta dunque per la prima volta in un genere differente e, se questa pellicola doveva servire da cartina di tornasole per sondare la bontà dell’imminente regia di "Blade Runner 2049", posso affermare che, almeno per me, la prova è stata pienamente superata e il sequel di quella pietra miliare della sci-fi non poteva finire in mani migliori.
Ecco svelato l'arcano mistero di come arrivarono i monoliti a Stonehenge!

La pellicola in questione è la più o meno fedele trasposizione del racconto di Ted Chiang “Storie della tua vita” e mette in scena una storia apparentemente poco originale, cioè quella del “primo contatto” (in questo caso con 12 astronavi aliene e i loro occupanti atterrate in svariate zone del globo) ma trasforma un plot classico per molteplici pellicole hollywoodiane in un grandioso affresco fantascientifico!
Fin dalle prime battute si inizia con alcune scene da antologia della storia del cinema e saltano subito all’occhio quali siano stati i riferimenti visivi e concettuali da cui Villeneuve  ha attinto per il suo film e, su di tutti, spiccano la geometria e l’estremo rigore di alcune immagini che prendono spunto dall’estetica kubrickiana, un certo tipo di narrazione di stampo spielberghiano con, però, un’attenzione al dettaglio, alla psicologia e ai drammi dei personaggi seguiti sin nella loro intimità e mantenendo sempre un ritmo lento e pacato tipica del miglior Terrence Malick (cioè non quello degli ultimi anni, ahimè). Il ritmo molto “riflessivo” e la lentezza degli impercettibili movimenti di macchina che portano a scoprire le immagini passo dopo passo sono, a mio avviso, un punto di forza di questa pellicola e fanno pienamente parte del modo di narrare storie che adotta Villeneuve e, anziché appesantire la visione, riescono a rendere il tutto ancor più coinvolgente (un po’ come accadeva con “2001: Odissea nello spazio”) ed omogeneo.

A livello registico, inoltre, penso che Villeneuve abbia già raggiunto il suo apice con pellicole precedenti ed ora non faccia altro che riconfermare le sue ottime doti; ad un’ispiratissima regia è affiancata una fotografia non da meno: fredda, tagliente, prevalentemente dominata da toni cupi, giocati sulla scale del blu e del grigio e il tutto è condito con una realizzazione tecnica di prim’ordine, sia per quanto riguarda il design dei “vascelli spaziali”, sorta di gusci con un’estetica davvero intrigante che richiama il monolito nero di "2001: Odissea nello spazio" e lo stesso materiale di cui sono composti sembra un miscuglio di roccia porosa e metalli; altrettanto originale è la realizzazione degli alieni, non i soliti omini grigi o verdi che tanta cinematografia di Hollywood ha voluto imporre nell’immaginario comune attraverso un processo di antropomorfizzazione degli abitanti della galassia ma degli eptapodi simili a polpi o a piovre e che, personalmente, mi hanno ricordato gli “Antichi” lovecraftiani, questi immensi ed inimmaginabili mostri tentacolari/divinità, tipici appunto del mito di Cthulhu.
Questi alieni sono dei gran fumatori!

Gran pregio della pellicola è riuscire, nell’arco della prima mezz’ora, a costruire una crescente tensione che porta lo spettatore a voler scoprire come siano fatti questi alieni anche se il maggior stupore deriva dall’approccio linguistico/culturale e, a suo modo, “scientifico” con cui gli umani cercano di “comunicare” con gli alieni. La pellicola riesce dunque ottimamente nell’arduo compito di instillare nello spettatore  una certa curiosità nel cercare di comprendere le strategie utilizzate da linguisti e scienziati per interpretare una cultura “aliena”, “diversa” da quelle terrestri ma ricercando una comune base di comprensione attraverso segni, parole o numeri, pensati come i mattoni universali di qualsiasi linguaggio. Vengono a tal fine presentate alcune teorie davvero stimolanti e collegate al concetto di “origine di una lingua” e di metalinguistica come, per esempio, la possibilità che un sistema linguistico non abbia un ”inizio” e una “fine”, in cui il pensiero ed il senso di una frase non si forma mentre la si scrive parola dopo parola ma che possa esistere un sistema nel quale intere frasi, concetti e significati siano racchiusi in un unico segno dal valore circolare e dunque il processo mentale non sarebbe più progressivo ma, nel momento in cui si disegna un simbolo, esso comprenderebbe già un' intera accezione, espletabile nell’unicità del gesto. Di fatto gli alieni comunicano con simboli circolari e la trama stessa del film si dimostrerà circolare.
La classica macchia di caffè formato famiglia!

Oltre all’aspetto metalinguistico, vi è un aspetto di meta-narrazione, infatti come i protagonisti provano difficoltà nel comprendere gli alieni, per buona parte della pellicola gli spettatori non comprendono appieno ciò che il film ci vuole farci capire o narrare; questo aspetto che  può far presagire a un certo ermetismo della narrazione verrà, però, poi limato e compreso all’interno di uno struggente finale che chiarificherà l’intera vicenda.
Campagna di sensibilizzazione contro l'abbandono delle rosse!
Un finale struggente che può essere raggiunto solamente se un ottimo cast ha costruito passo do passo una certa gravitas della vicenda narrata e, anche in questo caso, Arrival riesce alla perfezione a trasmetterci un ampia gamma di emozioni tramite un cast di attori in stato di grazia: la Louise Banks interpretata dalla Adams (quanto adoro il suo naso!) non fa altro che riconfermare quanto questa attrice sia fantastica, una delle migliori della sua generazione per il sottoscritto (molto meritevole sempre lo scorso anno anche nell'interpretazione di quel gioiellino di "Animali notturni", di cui parleremo, croce sul cuore) e trasporta su schermo un personaggio carico di umanesimo che ha subito un grave trauma e faticosamente tenta di proseguire nel cammino della sua vita, come era stata ripresa nella sua botticelliana bellazza in "Animali notturni", qui ci viene presentata sfatta, spossata, col viso solcato dalle rughe e dall'impotenza di fronte all'ineluttabilità di alcuni eventi negativi; il fisico Ian Donnelly interpretato da Jeremy Renner (già candidato agli oscar ben due volte, quindi non solo cinecomic se ve lo stavate chiedendo) è altrettanto in parte, anche se il suo character ha un ruolo meno incisivo nella vicenda ma risulta complementare al personaggio di Amy; infine il colonnello Weber di Forest Whitaker (oscar per "L'ultimo re di Scozia") è utile a rappresentare una certa ottusità tipica dell'approccio militare a questioni di natura non prettamente bellica. 

Tornando ora al discorso riguardante la realizzazione della tecnologia delle navi aliene, va precisato che queste ultime hanno un design davvero singolare, sembrano gusci di pietra levigata che galleggiano nell'aria e non vi sono spiegazioni della loro tecnologia come non vi è alcuna spiegazione di diversi aspetti della fisicità o della fisiologia degli alieni: come fanno a respirare? come fluttuano le astronavi? Di che materiale sono fatti i loro vascelli spaziali? Perchè comunicano in quel modo? Nessuna di queste domande troverà risposta ma proprio questa scelta di non voler servire su un piatto d'argento delle risposte non fa altro che aumentare l'allure di mistero che ruota intorno all'epifania di questi alieni ed ha il pregio di far sì che nella mente dello spettatore si generino queste domande a cui tentare di rispondere dando sfogo alla propria fantasia il più possibile!

E anche per questo e per il fatto che capita ormai fin troppo di rado di vedere un film in sala di cui discutere sul contenuto per i giorni a venire, ben fatto Villeneuve!
Al primo incontro c'è sempre un po' di imbarazzo!
Infine, per quanto riguarda la conclusione di questa pellicola, essa merita un paragrafo a sè. Il finale è molto emblematico e profondo; da un certo punto in avanti l'umana visione sequenziale degli eventi inizierà a scardinarsi e verrà sostituita dall'aliena concezione circolare del tempo, da quel momento in poi non ha più senso parlare di passato e futuro poichè essi accadono ripetutamente negli stessi istanti e per sempre ed è qui che la scelta della protagonista di abbracciare il proprio destino senza intralciare o modificare l'ordine delle cose, compiendo un sacrificio enorme a favore di un bene superiore, porta il suo gesto ad essere interpretabile come un vero e proprio atto d'amore verso l'umanità! 
"Il castello dei Pirenei" di Magritte, possibile fonte d'ispirazione?
Dunque l'opera ultima di Villeneuve si fa portatrice di importanti tematiche: la comunicazione deve essere intesa come mezzo per colmare il piccolo divario che c'è tra un essere vivente e l'altro (ben rappresentato, tra la'ltro, dal piccolissimo spazio che le astronavi lasciano con la Terra e, ogni volta che si genera un cortocircuito comunicativo, il divario aumenta) e comunicare con un altro popolo e comprenderne la scrittura significa iniziare a capire come pensa e dunque a meglio empatizzare con esso; la comunicazione non deve, però, esser utilizzata come "arma" (parola chiave dal duplice aspetto nel film) come avviene spesso tramite informazioni strumentalizzari (tg spazzatura), un uso distorto del linguaggio attuato dai media o come violenta dialettica a fini impositivi o propagandistici tra gli Stati ma deve assumere il valore di bene universale: ecco, dunque, che il messaggio del film passa dall'importanza di "comprendersi" all'importanza di "comunicare" tra noi tutti popoli della Terra.


Perciò, se non lo avete ancora visto, fatevi del bene, e correte a recuperare l'ultima fatica di Villeneuve! Potrà sembrare troppo complicato per il grande pubblico o troppo poco hard sci-fi per l'amante del genere ma, indubbiamente, si tratta di una delle meglio riuscite unioni tra blockbuster e cinema d'autore degli ultimi anni!

Voto9 ½

venerdì 10 marzo 2017

Split

Titolo originale: Split
Paese: USA
Anno: 2017
Regia: M. Night Shyamalan
Cast: James McAvoy (superbo!!), Anya Taylor-Joy, Betty Buckley, Haley Lu Richardson, Jessica Sula
Genere: thriller, horror

"Quando all'inferno non ci sarà più posto, i morti cammineranno sulla Terra!"
E tu caro lettore del blog ti starai chiedendo "ma perchè una citazione alla tagline più figa della storia del cinema ("Zombi" del grandissimo G. A. Romero, ndr) per una recensione di Split?
Beh, tutto questo perchè, come un morto vivente o, come un vivo morente (una caramella mou per chi indovina la citazione), il sottoscritto ritorna in vita dalla tomba in cui era inciampato negli ultimi mesi, pronto a recensire nuovamente le pellicole più interessanti (e anche meno) che ci accompagneranno in questo fulgido 2017!
E come iniziar al meglio se non con una recensione doppia con il caro Luro? Recensione doppia dovuta anche al fatto che mai pareri furono più discordanti perciò cederò la parola (o la tastiera che dir si voglia) al buon Luro che ci presenterà il film e ci dirà la sua con annesso voto e poi prenderò le redini del blog per farvi partecipi anche del mio ben più fausto punto di vista. Enjoy!

AH-AH, vi piacevano i film di Shyamalan una volta?

[Luro dixit] Ecco la mia personale e veloce recensione su Split: partiamo dal fatto che speravo tanto che il regista Shyamalan con questo film tentasse di darsi un bel colpo di reni dopo aver prodotto dei filmacci senza capo né coda come Lady in the water, E venne il giorno e…duh, After Earth.
Infatti vorrei ricordare che quest’uomo ha sfornato pellicole di buonissimo livello come “Signs” (ricordo un me piccolo scappato fuori dal cinema con la caccona da paura a metà pellicola), “Unbreakable” e quel capolavoro de “Il sesto senso
Insomma, “diamogliela sta fiducia a questo uomo per Giove!” mi dissi davanti alla sala.

Partiamo dunque con la trama:
Tre adolescenti di cui due parecchio fregne vengono rapite da un tizio affetto da disturbo dissociativo di identità: in pratica nel cervello di questo tizio ci sono ben 23 persone che a turno prendono le redini del corpo, una roba tipo Inside Out ma con possibili conseguenze penali.

Ce la faranno le due turbofighe e l’amica a scappare dal tizio stramboide? Come è possibile che un uomo sia così incarcerato dalla sua stessa testa? Ho veramente speso quei soldi per vedere sto film?

Ok, l’ultima non c’entra ma andiamo oltre.


Le 23 person... ehm le 7/8 personalità di Kevin!

Secondo me il cavallo di battaglia non che gran protagonista della pellicola è il signor McAvoy di cui ho ammirato la sua versatilità recitativa e nell’ apparire incredibilmente inquietante e tenero in poco tempo, roba che a volte è addirittura riuscito a farmi scappare una risata per via dei suoi modi surreali di cambiare modi di essere per via del cambio di personalità. Che sia una cosa positiva o negativa, ai posteri l’ardua sentenza.
Infatti quando l’omino del cervello (cit.) è la personalità di un bambino di nove anni, l’attore si comporta come tale, e la tensione cala in maniera talmente drastica che i toni si smorzano e sembra quasi di vedere un film comico. Scelta di stile o un errore di produzione?
Fatto sta che, se posso capire questo elemento recitativo, non ho digerito la scelta delle protagoniste: tre stereotipi adolescenziali americane medie, la bionda supersocial, la ricciola amica che la segue ovunque e la ragazza che è fuori dagli schemi perché è così diversa a causa di un trauma infantile.
Trauma incredibilmente devastante ma che nonostante ciò non mi ha creato un minimo di empatia nei confronti della ragazza in questione, la quale ha forse un limite recitativo (sguardo perso nel vuoto, piattezza nei dialoghi) e quindi diciamo che in questo genere di film manca quell'affetto che io spettatore avrei dovuto provare per le sventurate rapite, sentimento che dovrebbe caricare altre emozioni per tutta la pellicola. I casi sono due: o sono incredibilmente stronzo io o qualcosa purtroppo non è decollato.


Ma mi è decollato altro... ohohoh, non sono per nulla volgare oggi



Fortunatamente ho visto altri aspetti positivi, come la conclusione: come da sempre, i film di Shyamalan hanno sempre la fine da “WTF” e qui c’è stato, eccome se c’è stato! Guardate e capirete (mi piace pensare che il regista abbia strizzato tanto l'occhio ai suoi vecchi fan come per dire "visto che roba, eh? Eh? Mi perdonate? dai,dai,dai" come faceva il mio cane Zeus dopo che mi mangiava le scarpe e implorava pietà).
Come posso concludere il mio punto di vista? Paragonerei questo film come un secondo piatto al ristorante: il contorno è buonissimo ma l’ingrediente principale non ne è all'altezza, ergo devi dosare bene le quantità per non avere cattivo sapore in bocca.Forza Night, ci siamo quasi!

Voto: 6

Bene, bene, bene, anzi no male, male, male! Questo era il parere del mio collega (quasi ex, verrà a breve spodestate ma non diteglielo, shhhh) e, a parte, qualche considerazione generale sulla performance di McAvoy e l'impianto narrativo del film, mi trovo abbastanza in disaccordo e ora vi spiegherò perchè. Innanzi tutto, come già accennato sopra, Shyamalan è stato un regista con la "r" maiuscola all'inizio della sua carriera e ha regalato anche a me alcuni tra i film che più amo con dei plot twist da mandibola a terra (e alla lista di Luro aggiungerei anche lo snobbato "Lady in the water" che a me è sempre parsa una bellissima fiaba metropolitana) per poi perdersi con l'avvento della seconda metà degli anni '00 con filmacci piatti, insignificanti e senza nulla da dire o comunicare. Per molti sintomo di una positiva rinascita di McAvoy fu già "The Visit" (2015), piccolo horror semi-indipendente, per me, invece, la vera rinascita di Shyamalan è proprio questo "Split"! 
Di personalità multiple al cinema ne abbiamo viste parecchie in passato, basti pensare all'Andy Perkins di "Psycho" o al buonissimo "Identità" di James Mangold (sì quello che è adesso al cinema col crepuscolare "Logan" e ha fatto quello stupendo remake-western di "Quel treno per Yuma") ma, a mio avviso, nessuno ci aveva ancora regalato una performance così straordinaria e inquietante come quella di McAvoy e le sue 23 personalità (di cui se ne vedono sì e no otto ma va bene così, altrimenti il film sarebbe diventato un pastiche senza capo nè coda)! 



Luro, sei stato molto cattivo! Vedrai che recensione della Madonna ti faccio, sciocchino!


Quindi, tralasciando il fatto che vorrei McAvoy (l'altra sua memorabile interpretazione avviene ne "Il lercio", recuperatelo!) candidato agli Oscar 2018, quali sono gli altri punti di forza del film per il sottoscritto?


Innanzi tutto le tre ragazzine o, per meglio dire, la ragazzina protagonista, l'alienata e alienante Anya Taylor-Joy, già protagonista dello splendido "The Witch" (uno dei migliori horror di questa decade, se ne parlerà), con la quale sono subito entrato in empatia. A differenza delle sue due scialbe e stereotipate "amiche", la nostra protagonista si pone fin da subito agli occhi dello spettatore come un personaggio "diverso", tormentato, distante anni luce dalla "normalità" tutta americana che trasudano le altre due vittime del sequestro, sue coetanee ed inoltre risulta essere distaccata, distaccata da una famiglia che non compare mai (se non in un traumatico flash-back) e "distaccata" nella magistrale scena d'inizio film del rapimento, scena in cui il sequestratore di McAvoy, dopo aver brutalmente e velocemente addormentato le altre due ragazzine, si prende del gran tempo con lei, quasi ad indicare fin da subito che lui e la ragazzina sono accomunati da qualcosa di misterioso e sconvolgente (e qui mi fermo sennò partirebbe un mega SPOILER grande come un palazzo). Dunque promuovo a pieni voti i due protagonisti e anche la psicologa interpretata dalla veterana Betty Buckley come promuovo le ambientazioni (tre in particolare) che compongono il film: la testa e la mente di Casey (la nostra protagonista), lo studio dove avvengono le sedute dalla psicologa e i sotterranei-prigione in cui Kevin (il multiplo McAvoy) imprigiona le tre fanciulle. Sono inoltre da lodare i continui richiami freudiani che in un film simile non fanno mai male, come, ad esempio, la scala a spirale, la lama del coltello o gli stessi sotterranei, presi a simbolo dei meandri più oscuri e nascosti della nostra psiche


Shame! Shame! Shame! (cit.)

La regia è inoltre molto ispirata e riesce ad inquietare costantemente lo spettatore con lenti movimenti di macchina e la ripresa di spazi stretti, angusti e tipicamente chiusi e soffocanti.

Infine ho molto apprezzato anche la parte finale della pellicola che richiama un po' un mio grande amore, "Stati di allucinazione" di Ken Russel (più volte citato dal grande Tiziano Sclavi in Dylan Dog, se vi interessa recuperate il numero 58, "La clessidra di pietra") in cui si ventila la teoria secondo la quale la mente è così potente da poter trasfigurare o potenziare il corpo (molto affascinante!) e la scena finale in sè rappresenta una scelta spiazzante e coraggiosa del regista che, in un meccanismo completamente anti-commerciale, si rivolge ad una ristretta nicchia di pubblico/suoi aficionados e, solo chi ha visto "Unbreakable", lo potrà veramente capire. A me questo "incontro" finale ha esaltato non poco e, visto il dilagare di universi condivisi (Marvel Cinematic Universe, DC Universe ecc...) non vedo che male ci sarebbe nel crearne anche uno con i personaggi da thriller/horror partoriti dalla mente di Shyamalan!

Per concludere, vorrei segnalare che, anche a livello di temi messi sul piatto il film non è affatto male: si affronta la tematica della prigionia e della solitudine, di come può essere difficile crescere in una società superficiale come quella tratteggiata per una ragazzina sola, introversa e che ha già profondamente sofferto nonostante la giovane età ed anche la tematica (ma qui da prendere non troppo sul serio e "con le pinze") delle malattie mentali o semplicemente delle personalità multiple che, anche senza estremizzare, ognuno di noi si porta a spasso.
Se proprio volessimo trovare il pelo nell'uovo, il film doveva essere un attimo più asciutto, leggermente più corto della sua durata effettiva e (questo può piacere o meno) la sospensione dell'incredulità a cui è sottoposto lo spettatore, diciamo circa da metà film in poi, viene un po' messa a dura prova ma, se conoscete i film di Shyamalan non è nulla di nuovo; il tocco grottesco, invece, criticato dal buon Luro, a mio avviso, non spezza il ritmo facendo risultare alcune scene ridicole o involontariamente ironiche ma, anzi, le rende più spaventose ed inquietanti.
Insomma, se non si era capito, per me è un grande ritorno di forma di Shyamalan!
Voto: ½