venerdì 30 dicembre 2016

The Neon Demon


Titolo originale: The Neon Demon
Paese: Francia, US, Danimarca
Anno: 2016
Regia: Nicolas Winding Refn
Cast: Elle Fanning, Jena Malone, Christina Hendricks, Keanu Reeves, Alessandro Nivola
Genere: thriller, horror

Pensavate che il sottoscritto e il caro Luro fossero fuggiti col bottino delle loro ultime scorribande su qualche isola tropicale? Ebbene … no, siamo ancora qui, vivi e (più o meno) vegeti e forse sarebbe anche il caso che la smettessi di usare il plurale in stile “mago Otelma” visto che mi trovo a battere sulla tastiera in totale isolamento in questi istanti. Riprendendo possesso del mio “io visibile” (e son sapete di cosa si tratta non è che abbiate scarse conoscenza filosofiche ma soltanto vi state perdendo l’ultima serie-bomba lanciata da Netflix, “The OA”) vorrei passare alla recensione vera e propria e ridare il via ad una nuova stagione critico/creativa di questo piccolo blog di quartiere.
E quale miglior modo per “riaprire le danze” se non recensendo uno di quei film che maggiormente mi hanno colpito quest’anno e che ritengo un piccolo capolavoro della stagione cinematografica appena conclusasi (non contando, ovviamente, le decine di pellicole “da Oscar” che, come ci ricorda la distribuzione italiana, arriveranno in sala tra Gennaio e Febbraio)?

Premessa d’obbligo: il film che andrò  ad analizzare (o per lo meno tenterò) è stato presentato all’ultimo festival di Cannes ed è stato anche parecchio fischiato e bistrattato da buona parte della “critica ufficiale”, oltre ad esser stato ritenuto di cattivo gusto e, per certi versi, scandaloso o pregno di violenza gratuita. Sto parlando, se non si fosse ancora capito, di “The Neon Demon” e nulla di più falso poteva essere detto o scritto!

Il primo scioccante "quadro" dell'opera di Refn



L’ultima fatica del grande Nicolas Winding Refn, già autore di gemme dalla rara lucentezza come Bronson, Drive o la trilogia di Pusher, rappresenta per me il coronamento della carriera di questo eccentrico cineasta danese che ha saputo intercettare, meglio di molti altri suoi contemporanei, mode, problematiche e ossessioni della nostra società, unendo uno stile ed un immaginario prettamente pop ad immagini, suoni, colori e sequenze unici e potenti. 
A mio parere, questo film ha tutte le carte in regola per essere definito un capolavoro moderno (termine di cui non cerco mai di abusare), un’opera estetica da ammirare ancor prima che comprendere o analizzare, che si rifà apertamente alle splendide immagini e ai giochi di luci tipici della filmografia del grande Dario Argento, mentore e collaboratore del più giovane Refn.

Partiamo da un aspetto che tendo a trascurare o a mettere in secondo piano quando scrivo una recensione ma che, mai come in questo caso, ha un valore preponderante, ossia la colonna sonora: le musiche elettroniche, martellanti e, a volte, disturbanti e roboanti create da Cliff Martinez rappresentano un tipo di sonorità che generalmente non riuscirei ad apprezzare quasi in nessun contesto o in nessun altro film ma, in questo caso, calzano a pennello, sorreggono la narrazione scena dopo scena e fanno mutare lo stato d’inquietudine o  di sorpresa dello spettatore più e più volte. Anche questo aspetto è chiaramente ispirato alle particolarissime colonne sonore, molto spesso ad opera dei “Goblin”, che adornavano magnificamente i più riusciti film di Dario Argento.

“A braccetto” con la colonna sonora, la fanno da padrone le luci psichedeliche, pulsanti e alienanti di questa pellicola, gioia e dolore per gli occhi del pavido spettatore; anch’esse contribuiscono alla composizione di questo magniloquente affresco di luci e suoni. I colori forti, principalmente al neon e spesso lampeggianti si sposano a meraviglia con ciò che la narrazione vuole comunicarci e l’utilizzo di frame proiettati in rapida sequenza, in cui il movimento viene a perdersi, facendo divenire le inquadrature vere e proprie istantanee da incubo, è un altro accorgimento a dir poco geniale.


Lo specchio: tematica fondamentale della pellicola, simboleggia l'opposto ed il contrario che si riflette ma è anche specchio dell'anima!
Ma di cosa parla “in soldoni” questo film? La trama è all’apparenza molto semplice e, in pillole, è la seguente: “Jesse, un'aspirante modella, si trasferisce a Los Angeles, dove viene reclutata da un magnate della moda come la sua musa. Entrando nell'industria della moda, la sua vitalità e giovinezza saranno divorate da un gruppo di donne ossessionate dalla bellezza, che useranno ogni mezzo per ottenere ciò che ha.”

La protagonista dell’apparente trita e ritrita storia di ricerca del successo e dell’affermazione di sé in un mondo crudele, a tratti violento e quasi “cannibale” come quello della moda, è la giovane Elle Fanning (sorellina della più nota Dakota) che all’epoca (due anni fa) in cui fu girato il film, aveva appena sedici anni e si è dovuta confrontare con un personaggio estremamente complesso, dovendo interpretare una ragazzina ingenua, innocente e pura, portatrice di una bellezza quasi “non umana”, una bellezza trascendentale e, non a caso, una finezza del regista è quella di comporre l’inquadratura della scena in modo tale che lei spicchi sempre, anche in mezzo all’altisonante bellezza delle altre modelle ed, inoltre, è costantemente illuminata e contornata dalla luce, quasi ad indicare la provenienza “divina” della sua bellezza che stordisce e riempie gli occhi di chi la guarda. Nonostante questi aspetti che tendono ad accumunarla ad una figura angelica, Jesse presenta un lato nascosto ed oscuro, che emergerà pian piano: sembra infatti che la sua apparente innocenza le impedisca di comprendere appieno il mondo che la circonda ed inoltre la sua bellezza è portatrice anche di distruzione e dolore (“Mia madre lo diceva sempre. Sono pericolosa!”), infatti quando sei così bella ispiri amore e odio in egual misura, spingendo le persone ad estremizzare i loro sentimenti, positivi o negativi che siano, nei confronti di una così spiccata armonia.
"Guardati, vuoi davvero essere come tutte loro?" "No. Sono loro che vogliono essere come me!"


L'inperscrutabile Ruby
Il violento albergatore interpretato da Reeves
Gli altri, pochi tra l’altro, personaggi funzionali alla vicenda comprendono: Dean, il giovane fotografo che scoprirà per primo la bellezza di Jesse e la introdurrà nel mondo dell’alta moda e della grande metropoli, sarà inizialmente suo amico e confidente ma, come gli verrà fatto notare dal cinico fashion designer interpretato da Alessandro Nivola, egli l’ha notata ed aiutata solo ed unicamente per la sua bellezza altrimenti, con molta probabilità, non si sarebbe mai accorto di questa ragazzina ingenua e spaesata;        due modelle ritraenti in tutto e per tutto la “società delle apparenze”, dove la bellezza è costruita e artificiale ed entrambe vogliono primeggiare e vendicarsi contro una bellezza più pura e genuina come quella di Jesse; Ruby, la truccatrice, vero personaggio cardine della vicenda, interpretata dalla fantastica Jena Malone, un personaggio fondamentale e scritto benissimo, raffigurante l’inquietudine più pura che attanaglia l’animo umano e, infine, Hank, l’albergatore del sudicio e vetusto motel di periferia in cui soggiorna Jesse, interpretato magistralmente da Keanu Reeves, personaggio-simbolo di una cattiveria cieca ed indifferente e, a detta dello stesso Keanu, una delle sua migliori interpretazioni, cosa anche molto coraggiosa da parte di un attore di Hollywood così in vista che, in fin dei conti, si presta ad interpretare uno stupratore di minorenni.

Ora passiamo al tema “scottante” dell’intero film, la violenza e il suo utilizzo all’interno della pellicola. Questo film, come già accennato, presenta diversi momenti e contenuti violenti, all’apparenza molto forti ma, a mio avviso, mai decontestualizzati; è presente indubbiamente una certa dose di violenza da “sangue che schizza” ma, per lo più, non è questo tipo di brutalità sensazionalistica che Refn ricerca ma, piuttosto, una violenza dal valore simbolico, a volte più animalesca, gratuita e feroce (e suggestive sono in questo caso le premonizioni che ha Jesse come l’incontro con un animale predatore come il ghepardo, presente in una particolare scena del film) e altre volte più psicologica, tormentata e, a tratti, affascinante, derivata da un’inestinguibile inquietudine che accompagna diverse persone nella loro vita (e il personaggio della truccatrice Ruby è esemplificativo in questo caso). Volendo andare più in profondità riguardo a questo aspetto, è impossibile non aggiungere il "pomo della discordia" di cui si è macchiata questa pellicola, ovvero una particolare scena che vede protagonista proprio Ruby, impegnata in un rapporto sessuale con un cadavere. La scena in sè mi ha sia disgustato che affascinato allo stesso tempo ma sono certo nel dire che non sia mera provocazione: tutto ciò avviene in un momento cardine della storia nel quale, dopo un brutale rifiuto che Ruby ha subito da parte dell'oggetto del suo desiderio (Jesse), la truccatrice (anche di cadaveri, non il miglior lavoro al mondo insomma) si rivaleggia sul corpo inerme a sua disposizione; come ben spiegato da Refn la scena è molto peculiare e chiarisce il concetto che quando sei rifiutato da tutti, "la morte non ti rifiuta"! Sono infine presenti alcune scene di cannibalismo, mai mostrate veramente ma viene mostrato il loro "risultato" ed esse simboleggiano appieno il concetto, presente in molte antiche tribù, che assumendo o mangiando il cuore e succhiando il sangue del nemico, si possa apprendere ed interiorizzare le qualità (in questo caso la bellezza) di quel nemico.

Il film esplora inoltre l’animo umano e un certo tipo di valori e ideali divenuti fondamentali in questa società ma apparentemente fasulli, vuoti, i quali, in fin dei conti, non portano a nulla, a nessuna reale gioia o soddisfazione personale come l’arrivismo sfrenato, l’apparire e l’esaltare un certo tipo di bellezza “costruita” e fine a sé stessa (un chiaro esempio è dato dalla contrapposizione che si genera in tutto il film che presenta luci, ambienti e personaggi "artificiali" mentre sui titoli di coda scorrono immagini di rara bellezza naturalistica) oppure l’invidia e la volontà assoluta di primeggiare e “sbranare” i propri avversari. La pellicola, in aggiunta, è quasi totalmente al femminile e devo confessare che sto amando questo trend molto presente negli ultimi anni nel quale l'immagine della donna è presa come centro dell'azione e delle vicende e ciò accade sia in film smaccatamente più commerciali come "Rogue One", "Frozen" o "Mad Max: Fury Road", sia in film più autoriali come "Julieta", "Jackie" o "Mustang"; lasciando ai personaggi maschili un ruolo limitato e legato unicamento al concetto di figure predatrici.

La donna come "motore immobile"

Insomma, volendo concludere, come avrete ormai ben capito, questo thriller-horror schizoide e completamente pop mi ha riempito gli occhi e il cuore e mi ha fatto a lungo riflettere sulla "grandezza" della bellezza. Non è assolutamente un film vuoto come molti hanno sostenuto ma un film pieno, pieno di bellezza in tutte le sue forme che ci mostra anche tutto il dolore che può recare a chi questa bellezza non la possiede; l'opera di Refn fa inoltre un quadro su come la bellezza in tempi moderni sia relamente "tutto", quasi essenziale per vivere e soprattutto per vivere in ambienti come quelli della moda, del cinema, della rappresentazione artistica o in classi sociali come l' "altissima borghesia".
Chi non ha capito questo film, semplicemente non l'ha voluto guardare con il giusto spirito poichè non c'è nulla da comprendere, come quando si è di fronte ad un'opera d'arte, bisogna ammirarla e vedere cosa ci comunica cercando di coglierne i sottotesti.

Dunque grazie Refn per questa splendida visione e questo tipo di cinema ormai scomparso, un cinema sperimentale che parla più con le immagini che con le parole, un'idea ambiziosa di cinema, all'interno di una confezione lussureggiante!
Refn: "Con questo film voglio narrare la storia della mia "ragazza interiore" "


Voto9



 

sabato 5 novembre 2016

Consigli Per Il Cinema - Doctor Strange



Titolo originale: Doctor Strange
Paese: USA
Anno: 2016
Regia: Scott Derrickson
Cast: Benedict Cumberbatch, Chiwetel Ejiofor, Tilda Swinton
Genere: fantastico, azione fumettosa, robe esoteriche



Qualche giorno fa io e Ste abbiamo visto insieme Dr Strange e, di conseguenza, abbiamo deciso di fare una sorta di MEGARECENSIONE (tutto maiuscolo) in cui abbiamo infilato la maggior parte delle nostre sensazioni.

Dunque ora passo la parola a lui e alla fine vedrete le mie conclusioni! 

...cambiamento di carattere in corso...

<< Cari internauti, rieccomi all’opera! Giusto pochi giorni fa sono andato con quel mattacchione del Luro a vedere un film che attendevo con una certa trepidazione (soprattutto per la presenza di un certo Benedict Cumberbatch), ossia “Doctor Strange”, ultima fatica dei Marvel Studios e ora vi espongo alcune considerazioni riguardo alla pellicola, maturate in parte in sala o chiacchierando con Luro e in parte lasciando qualche giorno di tempo per rielaborare e organizzare le idee.

Quest’ultima operazione Marvel, come già fatto altre volte (“Ant-Man” o “Guardiani della Galassia”), prende un personaggio "poco noto" al grande pubblico (o per meglio dire ai non addetti ai lavori) per renderlo iconico e farlo appunto conoscere anche ai non-lettori dei fumetti della “Casa delle idee”. A dirigere il tutto Scott Derrickson, giovane regista con alle spalle almeno due ottimi film horror abbastanza autoriali. Come sarà andata?



Secondo noi molto bene. Questo film risulta una sorta di punto di svolta per l’Expanded Universe Marvel  introducendo la magia e il misticismo all’interno di un contesto generalmente più "supereroistico" o fantascientifico. E lo fa con una gran classe: a livello di messa in scena e regia ci troviamo di fronte a un’opera eccellente, gli effetti visivi sono di grande impatto (bellissimi gli effetti delle proiezioni astrali) e le scene d’azione all'insegna del dinamismo pur restando chiare e intellegibili.
Per una volta tanto anche il 3D risulta davvero notevole e fa guadagnare molto all’esperienza visiva di noi spettatori, esperienza che, a più riprese, cerca di richiamare la controcultura figlia dei 70s, il periodo hippie e la psichedelica da trip di LSD (oltre che a citare tanto buon cinema recente (“Inception”) o le architetture impossibili di Escher). Risulta, perciò, in questa accezione, molto fedele al fumetto originale e risulta abbastanza fedele anche a livello di storia e narrazione delle origini del personaggio.

Questa è la psichedelica che solo Steve Ditko (vero creatore di Doctor Strange con buona pace del caro Stan Lee che non lo ammetterà mai) sapeva infondere sulle pagine di Strange Tales negli anni ’70.

I personaggi sono praticamente gli stessi che comparivano sulle pagine di Strange Tales con giusto qualche cambiamento: lo Steven Strange di  Cumberbatch risulta perfettamente “in parte”, un uomo arrogante ed egocentrico,  geniale e molto competente nel suo lavoro (in questo ricorda anche il Tony Stark di Robert Downey Jr.) che, però, lentamente cambierà divenendo un eroe atipico mantenendo alcuni aspetti del suo carattere originale; Tilda Swinton porta, invece, sullo schermo un ”Antico” diverso dalla controparte fumettistica, nei fumetti è un vecchio saggio tibetano mentre nella trasposizione su cellulosa diventa una donna di origine caucasica ma, a parte questo, anche qui la caratterizzazione del personaggio viene rispettata e la buona prova dell’attrice riesce anche a regalarci un momento particolarmente toccante a circa 2/3 del film. Anche Mordo (interpretato dall’attore candidato agli Oscar Chiwetel Ejiofor in 12 Anni Schiavo) subisce la stessa sorta di “cambiamento etnico” passando dal tipico personaggio orientale dei fumetti a, appunto, un personaggio afroamericano.">>

E ci mettiamo una donna come capo e il nero come spalla... successo assicurato!

E qui subentra il Luro nelle considerazioni finali: nonostante questi cambiamenti, secondo me anche inevitabili quando si traduce su grande schermo un’opera fumettistica, l’essenza e il carattere di ognuno di questi personaggi viene decisamente ben trasposto con grande fedeltà ed, inoltre, non essendo nessuno di questi personaggi particolarmente conosciuto al grande pubblico, questi piccoli cambiamenti vanno decisamente bene.

Concordando comunque con il mio braccio destro è unitile nascondere anche quei pochi difetti che, volenti o nolenti, sono sempre più frequenti in pellicole del genere. 
Anche se non sono molto studiato a riguardo, io ho sempre visto questo personaggio come una cazzutissima semidivinità (chissà se vale come eresia questa frase) capace di fare meraviglie che difficilmente qualunque altro eroe Marvel sia in grado di eguagliare: eppure proprio in alcune scene di combattimento sono state introdotte con troppa foga le odiatissime scene di humor slapstick che magari trovi spassose nei sopracitati AntMan o I Guardiani Della Galassia (generi agli antipodi per questo film) ma che qui non c'entrano un'infinocchiatissima.

E ok, le avrò trovate divertenti, ma credo che il mio sia stato quel tipo di divertimento che mostro quando la parente semisconosciuta di infinitesimo grado a Natale mi regala un maglione antisesso e sono costretto (perchè di costrizione di tratta) a ridere, essere felice e ringraziare. E questo, come al solito, è un peccato.


Inoltre, come mi è stato fatto notare, il villan interpretato da Mads Mikkelsen, è piuttosto scialbo, piatto e senza forti motivazioni, funzionale alla narrazione e non sovrasta più di tanto il “cammino dell’eroe” ed ha, come unico aspetto positivo, una caratterizzazione estetica davvero ben riuscita

Anche se mi ricorda un po' Mexes con qualche lampada in meno e con quel tocco di eyeliner in più.

Il film piace? Sì.  Introduce un frammento nell'immenso mosaico di casa Marvel? Sì. Porta qualche novità rispetto alla solita manfrina dell'eroe che nasce cresce e fa cose fighe? No.

Graficamento bello, con una prova recitativa brillantemente superata dai più e con un personaggio sicuramente diverso dal solito, in questa pellicola ci sono gli ingredienti per trascorrere una piacevole serata con gli amici, senza lesinare negli Easter Eggs.

Voto: 7.5

martedì 25 ottobre 2016

Ieri e Oggi - Robin Hood: Il Principe Dei Ladri



Titolo originale: Robin Hood: Prince of Thieves
Paese: USA/Gran Bretagna
Anno: 1991
Regia: Kevin Reynolds
Cast: Kevin Costner, Morgan Freeman, Christian Slater, Alan Rickman, Mary E.Mastrantonio, Michael McShane
Genere: avventura



Dopo la squisita recensione del caro Ste, ammetto di essermi rilassato troppo e il mio caro collaboratore mi ha pure bacchettato.

Pensate, il proprietario del blog che si fa richiamare dal suo collaboratore. Pazzesco!

Ovviamente l'ho licenziato.

Scherzi a parte, in effetti la pausa è stata parecchio lunga e vorrei rompere il silenzio con questo film del 1991, perchè è giusto che le novità vengano sempre sponsorizzate.

Poi, finita la recensione, vi parlerò di questa nuova invenzione che va tanto di moda, ovvero i televisori al tubo catodico, dicono che siano una bomba!

Scherzi a parte II, perchè questo film? Beh, il mio cervello bacato, davanti a un lavoro nuovo (o, per meglio dire, davanti allo scrivere recensioni nuove), inizia a impuntarsi talmente tanto che vado a litigarci contro. Qui vi trascrivo la nostra ultima discussione.

Luro:"Hey cervello, ora che ho un po' di tempo libero, che ne dici di finire le bozze degli ultimi 4 film che ho sul pc da luglio e sfornare qualche bella recensione fresca?"

Cervello: "Nah"

Luro:"Eddai, mica ti sto chiedendo di ridare Analisi; alla fine qualcosa di carino lo riusciamo sempre a fare..."

Cervello: "No, quei film lì mi han fatto cagare. Hanno rovinato Ghostbuster, hanno provato a rifare Lo Squalo, hanno fatto il sequel di un sequel di merda e tu mi parli di sfornare recensioni fresche? E non osare citare di nuovo quell'esame che ci viene un ictus"

Luro:"Quanto sei melodrammatico! Su, mettiti al lavoro, senza di te io non posso fare nulla! Sennò rischio di scrivere una recensione orribile".

Cervello:"Te lo scordi; adesso ti manderò un segnale elettrochimico che ti farà venir voglia di conoscere il ciclo di vita dei lamantini africani"

Luro:"Bastardo! ...... Ok senti, se facessi una recensione di uno dei film della mia infanzia che ti ha scolpito l'amore per i giochi di ruolo e per la fantasia, mi aiuteresti?"

Cervello:" Beh...potrei accettarlo! Scusami se sono stato uno stronzo, ti voglio bene..."

Luro:"Anche io te ne vogl... oh guarda un lamantino!"


Non è adorabile?
Quindi, vorrei tentare di scrivere una doppia recensione. Quella di Luro piccolo e quella di Luro vecchio. Chissà cosa verrà fuori!

XII secolo: Robin di Locksley, crociato partito per liberare Gerusalemme sotto i vessilli di Riccardo cuor di Leone, riesce a tornare in Inghilterra per riabbracciare l'amato padre dopo una lunga prigionia; egli è accompagnato da un moro di nome Azeem, il quale ha giurato fedeltà all'inglese in quanto quest'ultimo lo ha liberato e dunque salvato da morte certa.


Quando però i due tornano al castello di Robin, scoprono un'amara verità: l'intera struttura è stata data alle fiamme, il cadavere di Lord Locksley è appeso a una trave e il fedele servitore di famiglia Duncan è stato accecato per opera dello sceriffo di Nottingham, malvagio signore che, sfruttando la debolezza del Re per via delle crociate, cerca di conquistare il maggior numero di terre per rovesciare la corona e diventare ricco e potente.

Spinto dalla sete di giustizia e vendetta, Robin inizierà una nuova vita, diventando quella figura leggendaria di nome Robin Hood!

Ora, nei miei ricordi vedevo il giovane Kevin Costner come il fuorilegge badassico all'inverosimile, "geniale e spavaldo" che, insieme al tranquillo e più saggio Azeem (Morgan Freeman) formavano una coppia di protagonisti perfetta! Invece il grandissimo attore che, haimè fu, Alan Rickman e la fattucchiera Mortianna rappresentavano magistralmente l'incarnazione del Male (la tizia mi spaventava particolarmente a morte).

Ed ecco la fonte di tutte mie turbe psichiche infantili!!!

Non avete inoltre idea quanto mi piacquero tutte le scene della foresta di Sherwood: questo elemento bucolico, che rappresenta il collante fra Robin Hood e la sua masnada di fuorilegge, è stato presentato in maniera egregia grazie all'immenso lavoro di Douglas Milsome, colui che lavorò per altri capolavori come Full Metal Jacket e Shining.




Aysgarth Falls, Scozia!

Non dimentichiamoci inoltre che il castello dei "cattivi" è lo stesso usato nella famosa saga di Harry Potter.




I toni del film li trovavo parecchio cupi con molte scene violente, come la prigione di Gerusalemme o la  battaglia nella foresta, corroborati con momenti più leggeri e divertenti, fra i quali non posso dimenticare l'incontro dei banditi con Frate Tuck.

Insomma, all'epoca questo era un film che ho letteralmente disintegrato nel videoregistratore.

E adesso, una volta rivisto con occhio più critico?

Non posso negare che l'impatto sia stato forte e contrastante: nel mondo del cinema, 25 anni sono praticamente un'era geologica e il loro peso si sente tutto; ho notato una forte alternanza di spessore nei dialoghi, in cui c'erano momenti di alta tensione e altre frasi che quasi non c'entravano nulla nell'intera storia, e questo mi ha un po' deluso.

Rickman all'epoca mi sembrava, come detto, un cattivo completamente rivolto verso il Male, un mostro sacro (o per meglio dire profano) e irraggiungibile. Eppure adesso vedendolo recitare, mi sembra di notare una goffaggine estrema nei suoi modi, come a voler quasi essere oggetto di scherno, senza ovviamente perdere lo spessore dell'attore; posso capire che probabilmente potrebbe essere un messaggio del tipo "il male può essere combattuto soprattutto con il sorriso" o qualche roba hippy, il che, per carità, ci può anche stare. Diciamo che sono rimasto deluso non tanto per la prova in sè ma per non avere conciliato un mio ricordo con la realtà dei fatti.

Inoltre, purtroppo, per la versione moderna in blue ray hanno voluto aggiungere scene inedite mai doppiate fino ad ora, quindi per evitare cambiamenti repentini di voci, è stato deciso di ridoppiare completamente l'intera pellicola. E vi giuro che il 90% dello spessore delle frasi è volato via come le bestemmie che tiro quando guardo l'Inter ultimamente, perchè sono stati scelti i doppiatori attuali che prestano voce agli stessi attori; peccato però che ora quest'ultimi abbiano 50 anni e nel film almeno la metà e ovviamente sta cosa mi ha dato un fastidio inimmaginabile.

Fate che ho dovuto rispolverare il videoregistratore (giuro) e recuperare la videocassetta per gustarmi il doppiaggio originale e per fortuna le cose sono migliorate molto!

Rivedere le scene di quella meravigliosa foresta o quelle dei combattimenti ricchi di azione e anche con un pizzico di ironia mi han fatto ricordare che a volte non serve solo usare una fredda metodologia di analisi per recensire un film, ma lasciarsi trasportare dalle proprie sensazioni, cosa che ultimamente non sono riuscito più a fare.

Mitica la scena del binocolo!

A volte, dopo tutto, il miglior modo per imparare le cose, è guardarle con gli occhi di un bambino.


Voto: 8

Si ricomincia a recensire!!!

martedì 4 ottobre 2016

The Nice Guys


Titolo originale: The Nice Guys
Paese: USA
Anno: 2016
Regia: Shane Black
Cast: Russel Crowe, Ryan Gosling, Angourie Rice, Matt Bomer, Margaret Qualley, Kim Basinger, Beau Knapp, Yaya DaCosta
Genere: giallo, commedia, thriller

Popolo del web! Popolo d’Italia! …Ah, ehm.., no, così non va bene, sembrerebbe un po’ troppo, per l’appunto, populista o patriottico, meglio ricominciare daccapo con toni più mesti…

Sopravvissuti a questo burrascoso periodo di impegni, scalogne, scarsa ispirazione e un pizzico di apatia, ecco che l’indomito timoniere di questo blog mi ha affidato il gravoso compito di “riaprire le danze” e puntare di nuovo i riflettori su questa piccola realtà di appassionati del cinematografo.
E cosa c’è di meglio, per iniziare un nuovo corso, che recensire uno dei film più spassosi e divertenti di questa ricchissima annata cinematografica? Sto parlando ovviamente di “The Nice Guys”!

I nostri (anti)eroi e altre due piccole investigatrici!

Il film di Shane Black, e per chi non sapesse chi è questo “Dio della sceneggiatura” basti dire che è un tizio che, a soli 25 anni, vendette il suo primo script cinematografico (“Arma Letale”, considerato lo script perfetto e metro di paragone per tutti i successivi blockbuster hollywoodiani) per 250000 $ e che è la mente dietro tanti cult quali L’ultimo Boyscout, Last Action Hero, Kiss Kiss Bang Bang, Iron Man 3, si inserisce pienamente nel filone dei cosiddetti buddy-movie (filone che andava molto negli anni ‘80/’90), cioè quelle pellicole poliziesche che ruotano attorno ad una “strana coppia” (solitamente poliziotti, agenti o, come in questo caso, investigatori privati) formata da due tizi mal assortiti ed, inizialmente, poco inclini al gioco di squadra che, pian piano, iniziano a conoscersi e ad apprezzarsi fino a formare un’accoppiata vincente. La strana coppia dovrà, solitamente, vedersela con qualche ingarbugliata storia noir, affari poco puliti, giri di scommesse clandestine, prostituzione, malavita e bassifondi.

La storia prevede un’incursione nel cinema a luci rosse (tipico stereotipo del noir e del pulp) ed, in pillole, è la segunte: “nella Los Angeles degli anni 70, libertina, stravagante e decisamente trendy, un investigatore privato, Holland March, e un detective senza scrupoli, Jackson Healy, si alleano per risolvere il caso di una ragazza scomparsa e la morte di una porno star che apparentemente non sembrerebbero correlate: scopriranno che un semplice omicidio nasconde il caso del secolo!” [fonte: Comingsoon]

Giuro, poi diventeranno ottimi amici!!
La strana coppia portata sullo schermo da Shane Black è formata dal divo Russel Crowe e dall’anti-divo Ryan Gosling, entrambi scritti e interpretati con una maestria incredibile: il primo è una sorta di “picchiatore corazzato” che cerca, a suo modo, di fare del bene e sistemare le cose, è un duro un po’ sornione, divorziato e che ha ottenuto poco dalla vita, tranne per un’unica importante occasione che, per la prima volta, l’ha fatto sentire “utile” agli occhi degli altri e da allora ha intrapreso la sua personale crociata contro prepotenti e farabutti; il secondo è un bravo detective che, però, si perde in un bicchier d’acqua, pardon, d’alcool, somiglia all’ispettor Clouseau di Peter Sellers de “La pantera rosa” ed è un gran pasticcione, carico di goffaggine e di una comicità molto slapstick. Il detective interpretato da Ryan Gosling è il vero mattatore ed è la dimostrazione di quanto riesca ad essere poliedrico e a reinventarsi sempre in maniera convincente questo attore; il suo personaggio è un padre un po’ distratto, che si comporta spesso in maniera infantile, non prende nulla sul serio e maschera la tristezza e un senso di colpa per la perdita della moglie con un’ironia cinica e frizzante, sempre presente nei suoi discorsi.

Oltre all’accoppiata protagonista, altrettanto importanti sono le figure femminili che ruotano attorno a loro (e mai come negli ultimi anni si è vista una preponderanza di ottimi personaggi femminili, memorabili e ben caratterizzate e, per citarne giusto un paio, l’Elle Fanning di “The Neon Demon”, la Charlize Theron di “Mad Max: Fury Road” o l’Alicia Vikander di “Ex machina” o di “The Danish Girl” ma la lista tenderebbe ad esser infinita…) e tra esse troviamo la figlia del detective Holland March (Ryan Gosling), Holly, bravissima nel suo ruolo, mai fastidiosa e narrativamente fondamentale, il suo rapporto con il padre (molto spesso il vero bambino tra i due) viene ben sviscerato e impariamo ad affezionarci ad entrambi i personaggi. Inoltre vi è Amelia, fulcro dell’intera trama, la ragazza in fuga è interpretata da Margaret Qualley (“TheLeftovers”, bellissima la season 2, guardatela!!), la quale appare e scompare in diversi snodi narrativi ma la cui presenza aleggia in ogni scena. Infine la diabolica madre di quest’ultima è interpretata da una Kim Basinger in gran spolvero, qui devota al “lato oscuro”, porta avanti un personaggio-clichè della donna in carriera avida e spregiudicata, figlia del più becero capitalismo rampante.

Si capisce fin da subito che sia il vero "cattivo" dietro le quinte ma non viene meno il godimento del racconto!

A tutti questi personaggi femminili si aggiunge il villain del sex symbol Matt Bomer che sembra un po’ la caricatura dell’Anthon Chigurh di “Non è un paese per vecchi”, un po’ macchiettistico ma che, tutto sommato, svolge egregiamente la sua parte.

A livello di messa in scena troviamo tutto ciò che ha reso grande questo genere: scazzottate, sparatorie e scene d’azione sono sempre molto chiare, le battute pungenti e mai ridondanti, l’atmosfera che si respira è la stessa de “Il grande Lebowski”, le risate abbondano e il tutto è accompagnato da scenografie ricche di colori sgargianti, luci al neon e abbigliamenti tra il kitsch e il fantasioso e tutto ciò è sorretto da una colonna sonora strepitosa, ricca di pezzi indimenticabili degli anni ’70, ben inseriti e contestualizzati. La regia, inoltre, è moto godibile, la macchina da presa segue i personaggi in maniera egregia con efficaci campi e controcampi, nulla di eclatante ma, anche qui, è stato svolto un buon lavoro.


A livello tematico, invece, l’inquinamento morale e fisico che sembra attanagliare Los Angeles (ma a livello più generale gli interi USA) è il punto focale della vicenda, oltre ad un occhio ai mondi torbidi che si scontrano e si incontrano del porno anni ‘70 (ultimo periodo d’oro del porno su pellicola) e dei grandi produttori automobilistici con i loro agganci nella politica e nella legislatura per proteggere i loro interessi e danneggiare i consumatori a loro insaputa, il tutto per ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo e senza nessun precetto etico o morale. Altra grande tematica è l’enfatizzazione della figura femminile, del potere della donna in quanto tale, le donne (come in molti altri film recenti) sono gli unici personaggi a compiere reali scelte morali, a portare avanti una sorta di “rivoluzione politica” e ciò, perlomeno, accade nel cinema d’oltreoceano; in Europa, invece, a volte, la donna (non è un demerito sia chiaro) è rappresentata ancora in tutta la sua fragilità e perde letteralmente tutto, come ci viene mostrato dallo splendido “Julieta” di Almodóvar.

Una delle scene più divertenti tra quelle iniziali! Risate a crepapelle sono assicurate!
Insomma, Black realizza, a mio parere, un ottimo omaggio al genere buddy-movie, aggiungendoci qualcosa di personale e rendendo redivivo il filone ibridandolo con il noir e ammantandolo di quel cinismo e quel “black humor” presente in molte altre sue pellicole (basti pensare, a titolo di esempio, come vengono rappresentate le morti su schermo: presenti e, alcune volte, anche d’impatto a livello narrativo ma vengono, sempre e comunque, messe in ridicolo per le modalità con cui si verificano).
Per concludere, questo film lo consiglio a tutti, anche a chi non ama particolarmente l’action, essendo infatti ibridato col noir, c’è molta meno azione di un “Die Hard” o di un “Arma Letale”; la trama è tutto sommato non troppo complessa da seguire, direi semplice ma allucinante, il caso in sé non è nulla di particolarmente elaborato ma i personaggi, i loro rapporti e il mondo che prende vita attorno ad essi sono straordinari e portati in scena con un immenso amore verso questo genere che ormai non si fa più. Se non vi avessi ancora convinto sappiate che il film è un ricettacolo di battute memorabili ed instant cult come:

“Il matrimonio è comprare una casa per qualcuno che odi, ricordatelo!”
Ma tu hai fatto davvero un film porno con la trama??”


Voto: 8 ½

lunedì 3 ottobre 2016

Cambio vita con un click

Non aspettatevi una recensione di quel demenziale film con Adam Sandler; lo detesto.

Mamma se mi sta sui maroni....

Come avevo detto nel video, avreste dovuto attendere qualche giorno extra per vedere qualcosa di nuovo. Ebbene, direi che ci siamo.

Non starò a dirvi molto, sappiate solo che ho deciso di cambiare drasticamente la mia vita, e qualcuno di nuovo ha deciso di entrarne e farne parte.

La cosa per ora mi sta riempiendo di energie e, sotto certi aspetti, ansie. Ma obiettivamente non voglio farmi soggiogare da stati mentali negativi proprio ora che stanno iniziando tante nuove
avventure.

Diciamo solo che ora dovrò impegnarmi come ho sempre fatto (se non di più) per ottenere finalmente qualcosa di positivo, e ci sarà anche una personcina che mi farà da personal trainer!

Sì, mi rendo conto che sto dicendo parecchie cose sconclusionate, ma ritengo opportuno che su anno di recensioni, ci sia un piccolo spazio per sfogare anche le mie idee non cinematografiche.
E se state aspettando quelle, non preoccupatevi, il caro Ste sta per pubblicare un suo lavoro!

Da Luro, il vostro amato blogger di quartiere, linea alla regia!

mercoledì 22 giugno 2016

The Hateful Eight



Titolo originale: The Hateful Eight
Paese: USA
Anno: 2015
Regia: Quentin Tarantino
Cast: Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh, Walton Goggins, Tim Roth, Michael Madsen, Bruce Dern, Channing Tatum
Genere: western, thriller, giallo

E rieccomi qua, cari navigatori dell’Internet, a presentarvi, per la nuova rubrica “Film da oscar” (appena inventata cinque minuti fa) la tanto attesa e agognata recensione dell’ultima pellicola tarantiniana: “The Hateful Eight”!
Premetto dicendo che fin da subito mi sono trovato un po’ in difficoltà nel dover recensire un film di quel funambolo della cinepresa che prende il nome di Quentin Jerome Tarantino e ancor di più a dover recensire proprio quest’ultima pellicola che, rispetto molti suoi film precedenti, ha spaccato in due critica e pubblico ed è stato amato, odiato, spernacchiato o idolatrato come assoluto capolavoro ancor prima che uscisse nelle sale. Ora, a mente un po’ più fredda e dopo una seconda visione a distanza di mesi della suddetta pellicola, penso di poterla analizzare con maggiore precisione e compiutezza. Si comincia!

The Hateful Eight rappresenta l’ottava (e qui il titolo ce lo vuole caldamente ricordare) opera cinematografica di Tarantino e il suo secondo western, a tre anni di distanza da quel “Django Unchained” (che considero una sorta di “antipasto” a questo film) che aveva fatto tanto parlare di sé e aveva fatto riscoprire ad una buona fetta di spettatori l’amore per uno dei generi che più ha caratterizzato la Hollywood della golden age, ossia il western classico, quello della Monument Valley e di John Ford, Howard Hawks e Fred Zinneman per intenderci (correte a recuperare giusto questi tre immarcescibili capolavori: “Sentieri selvaggi”, “Undollaro d’onore”, “Mezzogiorno di fuoco”), e verso la sua successiva reinterpretazione tramite lo spaghetti western (e altri classici che non fanno di certo male ve li butto lì: “Django”, “Il buono, il brutto, il cattivo”, “C’era una volta il West”). Il western/exploitation di Tarantino questa volta, va precisato, rivolge lo sguardo più al primo e più classico genere di western rispetto, ad esempio, a Django che saccheggiava a piene mani dallo “spaghetti”.

Ma quel è la trama di questo “The Hateful Eight”? La trama è semplicissima (come accade di solito nei film migliori): due cacciatori di taglie si ritrovano insieme, per puro caso, durante una tormenta; devono raggiungere entrambi la città di Red Rock, uno (John Ruth “il Boia”) per portare la ricercata Daisy Domergue all’impiccagione e riscuotere la sua cospicua taglia e l’altro (il Magg. Marquis Warren) per riscuotere anch’egli le taglie dei cadaveri di tre criminali. I due cacciatori di taglie si conoscono di fama e decidono di condividere il viaggio sulla diligenza del primo, finchè non incontrano un rinnegato del sud (Chris Mannix) che sostiene di esser stato nominato nuovo sceriffo di Red Rock e sta dirigendosi proprio lì per ottenere il titolo. La tormenta, però, costringerà questo mal assortito gruppo a fermarsi in una locanda nel bel mezzo del nulla dove incontreranno altri pittoreschi personaggi. L’azione si svolgerà poi per il 90% della durata del film nella locanda dove i nostri avventori si scruteranno, impareranno a conoscersi e a diffidare l’uno dell’altro, in un crescendo di odio e sospetto sino al momento in cui uno di loro verrà avvelenato ed inizierà il countdown e la conseguente resa finale.
I due cacciatori di taglie a confronto!
Il film, come da manuale per Tarantino e come ormai sapranno tutti i suoi fan, è suddiviso in più atti, precisamente sei e, già il primo atto, per il sottoscritto, è stato a dir poco fantastico, pieno di rimandi al cinema di Leone, Kurosawa e Carpenter a livello di scelte di stilistiche e di inquadrature (e come non citare il bellissimo movimento di camera iniziale dalla croce del Cristo innevata allargandosi fino ad avere una visione panoramica delle foreste e delle montagne innevate), contrapponendo continuamente spazi ampi (gli esterni nevosi) a spazi ristretti (il micromondo all’ interno della carovana) e cercando volutamente una scelta estetica, per così dire, posata. Fin da subito la presentazione dei personaggi è spiazzante ed intrigante, il rapporto tra il carnefice e la futura impiccata è  incredibile, i personaggi passano continuamente dall’esser divertenti e divertiti a rapide ed imprevedibili esplosioni di violenza, per poi ritornare nuovamente tranquilli, ironici e sornioni.

 I personaggi sono proprio, a mio parere, uno dei punti forti del film: sono quasi tutti stilizzati proprio per instillare il dubbio nello spettatore che qualcosa non è come appare e le interpretazioni sono tutte magistrali: si va dai sempre ottimi Samuel L. Jackson (Magg. Marquis Warren) e Kurt Russel (John Ruth “il Boia”), il primo dei due è forse il personaggio più carismatico dell’intero film, per poi passare all’enigmatico cowboy dalle poche parole interpretato da Michael Madsen (Joe Gage), il quale millanta di dover andare a trovare la povera madre, al presunto sceriffo interpretato da Walton Goggins (Chris Mannix), il quale si rivelerà avere un carattere che cresce e muta con l’evolversi della trama, al boia Oswaldo Mobray di Tim Roth che fa un’interpretazione a là Cristoph Waltz (forse l’unico personaggio leggermente sottotono) fino alla dea intorno alla quale ruota tutta la vicenda, la Daisy interpretata da una straordinaria Jennifer Jason Leigh, scaltra e luciferina, un personaggio davvero bizzarro che sta andando alla morte non preoccupandosene ma, anzi, apparendo particolarmente divertita (e il capitolo “Il segreto di Daisy” in cui lei noterà qualcosa che nessun altro degli avventori ha notato sarà uno dei più belli di tutto il film).

Tutti questi personaggi e altri ancora secondari ma, mai come in questo film, tutti determinanti ai fini della trama e, per lo più, interessanti vengono accompagnati nelle loro azioni e nella presentazioni degli atti da una voce narrante (scelta insolita per il regista del Tennessee e voce proprio di Tarantino nella versione originale del film), un narratore esterno di cui non scopriremo mai l’identità.
Il cast all-stars!
Il micromondo della carovana
La pellicola è inoltre permeata da un’ironia sottotraccia (come ad esempio quella rappresentata dalla bizzarria di una porta sfondata da dover continuamente “tappezzare” con tavole di legno per poi dover esser sfondata nuovamente all’entrata nella locanda di ogni personaggio) e, generalmente, si può affermare che non abbia un ritmo in crescente ma piuttosto circolare, che parte lento e finisce lento, adottando un’atmosfera da giallo di Agatha Christie. Le inquadrature, infatti, sono per lo più molto lente e misurate, fisse o con piccoli movimenti di macchina (fuori e dentro la locanda) studiati nei minimi dettagli, senza eccessi sino allo scoppiettante e delirante finale. Ogni cambio di prospettiva riesce a stravolgere l'osservazione dello spettatore, portandolo ad osservare le vicende attraverso una nuova visuale ed i dialoghi sono il fiore all’occhiello di questa pellicola; la tensione la ritroviamo nelle parole e nelle pause, non nell’azione o nelle sparatorie. In aggiunta, fotografia, montaggio, musiche (la colonna sonora carpenteriana elaborata Ennio Morricone gli è valso il tanto atteso oscar per la relativa categoria) e recitazione sono perfetti e ogni amante della settima arte lo saprà riconoscere.

Vorrei ora spender un paio di parole per quanto riguarda le critiche che ho sentito o ho letto venir mosse a questo film. Chi ha stroncato o valutato negativamente l’ultima fatica di Tarantino lo tacciava di eccessiva verbosità, lentezza, misoginia e di interpretazioni non all’altezza. Premettendo che l’ultima affermazione mi lascia basito e spero non sia frutto di fumi o sostanza stupefacenti, per quanto riguarda l’eccessiva verbosità vorrei ricordare che nei film di Tarantino si parla sempre, dalla prima all’ultima inquadratura e questa è la sua cifra stilistica mentre per quanto riguarda la generale lentezza (“lento come la melassa” sarà una frase che ritornerà più volte nel film) controbatto puntualizzando che il film ha un ritmo più che lento, direi sinuoso, il quale da allo spettatore la possibilità di adattarsi e prepararsi per ciò che succederà. Infine le accuse più ridicole per me sono quelle legate ad una presunta misoginia: in un film in cui i personaggi maschili risultano tutti stupidi e violenti mentre il componente più sagace, furbo e manipolatore è rappresentato dall’unica donna, mi sembra proprio fuori luogo!
Lo sguardo mefistofelico di Jennifer Jason Leigh
A livello tematico, le questioni toccate da Tarantino sono molteplici: la più rilevante e cartina di tornasole dell’intera vicenda è la Storia (con la s maiuscola) dell’America e le sue contraddizioni, la Storia della violenza (sterminio di interi popoli ed etnie), del sangue (“giustizia di frontiera”) e del furto (terre, uomini e bestiame) su cui sono nati gli Stati Uniti e che ritroviamo evidenziata all’interno dei lunghi e straripanti dialoghi, un America costruita sulla pena di morte e su personaggi che avrebbero dovuto far rispettare la legge e che, molto spesso, si dimostravano peggio dei criminali che inseguivano; inoltre l’impossibilità di avere eroi o comunque la futilità e l’infantilità di un certo ideale eroico che la “fabbrica dei sogni” ci propina ormai da generazioni o l’impossibilità per l’essere umano di avere coscienza e pietà in situazioni che lo richiederebbero sono altri due aspetti che presentano i cinici avventori della locanda e due altrettanto validi argomenti.
La preparazione per la resa dei conti!

In definitiva, per chi scrive, questo “The Hateful Eight” è di sicuro un ottimo film: chi si aspetta un Tarantino ipercinetico, costantemente sopra le righe, con sangue ed esplosioni grandguignolesche una scena sì e una no, allora rimarrà deluso ma chi è alla ricerca di un ”vero” western, confezionato a regola d’arte ed interpretato egregiamente da uno dei migliori cast attualmente in circolazione, per di più con uno dei finali più tragici e forti visti recentemente su grande schermo, un film che vive di silenzi e attese cercando di colpire al cervello e non alla pancia dello spettatore, avrà di che gioire e  godere!

Maaa... questo film è un capolavoro? Per ora no, sarà il tempo a dircelo, sicuramente per me è uno dei migliori film del 2016 e uno tra i miei preferiti di Tarantino (in compagnia dell’inossidabile Pulp Fiction e di JackieBrown) e si porta a casa un eccellente

Voto: 9,5

CURIOSITÀ:
·         Il film è stato presentato anche in una versione in pellicola 70mm, contenente un ouverture e un intervallo ed alcuni dialoghi e scene più lunghe;
·         La pellicola ha molti punti in comune con “La cosa”, magistrale film horror di John Carpenter come l’ambiente freddo e ostile, i personaggi rinchiusi in uno spazio stretto e confinato in cui molti non sono ciò che appaiono e ognuno diffida dell’altro, l’attore Kurt Russel protagonista di entrambe le pellicole ed, infine, le musiche di Morricone era state precedentemente pensate proprio per il capolavoro horror di Carpenter.