mercoledì 26 giugno 2013

Monty Python - Il senso della vita


Titolo originale: Monty Python's The Meaning of Life
Paese: Gran Bretagna
Anno: 1983
Regia: Terry Jones, Terry Gilliam
Cast: Graham Chapman, John Cleese, Terry Gilliam, Eric Idle, Terry Jones, Michael Palin
Genere: commedia


Come potevamo non fare una recensione su un film dei Monty Python?

Un blog che tra i “siti amici” comprende il sito dedicato al Towel day!

Una ricorrenza nata in onore del famoso scrittore Douglas Adams, autore della "Guida galattica per autostoppisti"!!

Nonché collaboratore del famoso gruppo comico inglese in più occasioni!!!

Era solo questione di tempo…

Bene, ora che il momento è arrivato, non perdiamoci in preamboli inutili e partiamo subito con questa recensione.

D’altronde, come faccio a fare un introduzione che sia degna di un film dei Monty Python? È assolutamente impossibile, quindi non la farò. Anche se, a pensarci bene, i Monty Python hanno dato origine al termine “spam”, ovvero l’utilizzo di pubblicità indesiderata attraverso qualsiasi sistema di comunicazione, quindi…

...Spam!!!

Bene, ora arriviamo al punto!

Il film è preceduto da un corto di 15 minuti in cui un gruppo di vecchi impiegati della Crimson Permanent Assurance, una ditta di assicurazioni, si ribella alla gestione crudele e oppressiva dei nuovi giovani amministratori e decide di assumere il controllo della società. Gli impiegati, diventati ormai dei veri pirati, decidono così di partire  per saccheggiare un’importante compagnia rivale a bordo della loro sede, tramutatasi  nel frattempo in un vascello pirata.

Il corto utilizza la tipica ironia dei Monty Python per poi sfociare in una critica verso il potere della burocrazia che controlla la vita delle persone.

Già da qui, si nota tutta la genialità e la visionarietà che contraddistingue il famoso gruppo comico. Anche se, rispetto agli episodi che seguono, è un po’ differente nello stile, in quanto risulta molto più “epico”, visivamente più imponente e meno sguaiatamente comico. Per di più, non si inserisce nell’argomento principale che tratta il film.

Forse anche perché a dirigere questo corto è uno solo dei componenti dei Monty Python: Terry Gilliam, di cui ho già recensito Brazil proprio qui.

Il film è strutturato in una serie di episodi (che ricordano la famosa serie televisiva del gruppo) che hanno tutti come tema centrale il senso della vita. Si parte quindi dalla nascita, passando per la crescita, la vecchiaia fino ad arrivare alla morte; esplorando anche diverse epoche.

Solamente alla fine del film viene rivelato il senso della vita, dando quindi una risposta alle nostre numerose domande sull’esistenza: Chi sono? Qual è il mio scopo? Dio esiste? Ho chiuso la porta a chiave? Insomma, la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto (ah no, quella è un’altra cosa…)

Per chi di voi non ha la pazienza di vedere il film, il senso della vita è leggere "un mondo su uno schermo"!

Il film è caratterizzato dal tipico “Humor all’inglese” che ha reso famosi i Monty Python, ovvero la capacità di far ridere anche su argomenti di un certo spessore. Esemplare in questo senso, come viene smitizzata la figura della morte, da sempre trattata anche nel mondo del cinema con una certa austerità e reverenza.

Il celebre gruppo non risparmia niente e nessuno dal suo umorismo dissacratorio, toccando temi come la guerra, la religione, la società… Una vera e propria satira sull’uomo e sull’intera esistenza. Un condensato di ironia mescolato a spunti di riflessione.

Un tipo di comicità dominata da aspetti come l’assurdo, il surreale, la trasgressione, la provocazione e soprattutto il non-sense, in un film che invece tratta (o almeno dovrebbe trattare) proprio il senso della vita. 

Se pensate che per essere comici bisogna avere del buon gusto allora questo film non fa per voi. Infatti, come dimenticare la “lezione di educazione sessuale”, il “trapianto di organi vivi” o il pasto del signor Creosote?

Inoltre, a parte l'aspetto comico, la messa in scena è molto curata per un film del genere. Insomma, alla base si tratta di una successione di sketch comici ma di certo non siamo di fronte a "Natale a Rio", qui si tratta di comicità seria, cazzo (scusate l'ossimoro)!

E ora, per chiudere in bellezza, ecco delle immagini a caso per dar noia ai lettori e, speriamo, per suscitare qualche controversia; che sembra l’unico modo oggigiorno per indurre la gente satura di televisione a alzare il fottutissimo culo e leggere il nostro blog.

Bene, per ora è tutto, alla prossima!





Voto: 9

N.B.: durante i titoli di testa, la lapide presente anche nella locandina ha impresso "The Meaning of Liff", corretto in "The Meaning of Life" da un fulmine divino. "The Meaning of Liff" è il titolo del dizionario umoristico scritto da Douglas Adams durante la preparazione del film (grazie ancora, Wikipedia).

domenica 23 giugno 2013

Io Sono Leggenda




Titolo originale: I am legend
Paese: USA
Anno: 2007
Regia: Francis Lawrence
Cast: Will Smitth
Genere: Thriller

Ben ritrovati cari spettatori!

Dopo aver passato tanto tempo a cercare fra polverosi scaffali e acide bibliotecarie, ho finalmente trovato il libro da cui si è ispirato Francis Lawrence per questo film! Me lo sono letto tutto e ora, finalmente, sono pronto a recensire Io Sono Leggenda!

Ci tengo sempre a fare in questo modo, così da avere un'idea più precisa della storia e per sviluppare al meglio le mie recensioni (l'ho fatto anche per uno dei miei film preferiti); d'altro canto non vorrei passare per un ignorante, visto che faccio fin troppi errori di sintassi (e so che la scusa "tanto faccio ingegneria" non reggerà in eterno).

Era da un po' che avevo in testa questa pellicola; d'altro canto sono un amante del genere, e non potevo tirarmi indietro dopo aver visto il trailer





Robert Neville (Will Smith) vive a New York; tutti i giorni esegue dei rituali precisi: colazione nutriente, attività fisica, controllo dell'ora, organizzazione maniacale della giornata. Tutto con precisione al secondo, in modo che, al calare del sole, egli possa chiudere porte e finestre e andare a dormire. Ma le urla che sente all'esterno non sono frutto dei suoi incubi primordiali, ma un terrore che è costretto ad affrontare tutti i giorni da solo. Cosa è successo all'umanità? E' possibile che una delle città più popolate del mondo sia totalmente disabitata?

Sicuramente una parte da promuovere è la ricostruzione della metropoli abbandonata e decadente: uno scenario ben curato è un punto fondamentale per film del genere. D'altro canto, essendo la trama particolarmente incentrata su un personaggio solo, sono gli elementi esterni che, in primis, influenzano il suo stato d'animo (si veda anche Moon); se abbiamo un personaggio solo, l'attore che lo interpreta deve farlo senza una pecca. Non guardatemi in quel modo, per favore: film del genere devono essere fatti come Dio comanda, perchè sono sì difficili ma, se poi il lavoro riesce, vengono fuori dei gioiellini da tenersi nella propria cineteca.


Immagino dunque vi chiediate: "e questa pellicola com'è? Sembra una cosa bella!"

La mia risposta è un:  "Meh"

Sì, ok, non è proprio una posizione netta quanto un cattolico sull'aborto, ma andate avanti a leggere; in questa recensione cercherò di mostrare tutte e due le facce della stessa medaglia:

Cosa va

Come già detto, un ottimo punto a favore è l'ambientazione perfetta.

Sulla recitazione ho del buono da dire, dai: Will Smith lo ricordiamo per ben altri ruoli; un duro, spaccone arrogante ma sotto sotto imbranato con il cuore tenero.
Vederlo in un film del genere mi ha un po' stupito, per via del suo curriculum e della sua storia nel cinema: eppure ritengo che non abbia fatto un lavoro sporco; d'altro canto, in uno dei miei film preferiti, La Leggenda di Bagger Vance (presto sul nostro blog) egli incarna un personaggio assolutamente lontano dai sopracitati standard, quindi non è del tutto una novità il fatto che possa essere un attore di un certo livello.

Ma Dio delle città 
e dell'immensità, 
magari tu ci sei 
e problemi non ne hai. 

Ma quaggiù non siamo in cielo, 

e se un uomo perde il filo, 
è soltanto un uomo solo. 

Tornando al plot e alla sceneggiatura, la storia è stata tratta dal romanzo di Richard Matheson ma attenzione: questa pellicola non è proprio il pivot di genere, basta infatti ricordare film quali: "Ultimo uomo sulla terra" (1964), oppure "La notte dei morti viventi" (1968), fino ai recenti "28 giorni dopo" (2002) e si sono TUTTI ispirati al libro
Il nostro film riprende il 10% della trama di esso, tutto il restante lo crea la mente del regista.

Ultimo punto, grande lavoro nella cura delle scene di tensione.


Cosa non va


Purtroppo ci sono tanti scivoloni che fanno storcere il naso: quelli che io chiamo "buchi di trama" ovvero: Neville è solo, pare che l'umanità sia estinta e ... usa internet? Cioè... quali server sono attivi dopo un'apocalisse?


Poi in una scena egli deve affrontare un grosso problema e sbaglia miseramente a risolvere: si capisce lontano un miglio che quello stratagemma è destinato a fallire. Il punto è che quel problema è un'eventualità che il protagonista aveva tenuto in conto da anni; come può non arrivarci che il rimedio sia totalmente inefficace?


Queste cose sono parecchio importanti e se dopo un po' lo spettatore le nota, perde gran parte di interesse.


Poi, il finale è stato quello che mi ha fatto bellamente incazzare, roba che pensi: "se va beh"


Non ci credeva neanche lui


Non vi sto a spoilerare, vedete e giudicate.

Io dico solo questo: il libro racconta una storia precisa e il finale rivela il perchè del titolo "Io Sono Leggenda".

Ok?

Ora, io capisco benissimo che il regista voglia mettere una sua impronta nel lavoro, ci sta: ma non puoi farla PROPRIO nel finale e sminchiare tutto il lavoro!


Infatti il regista cambia totalmente l'ultimo atto, mettendo un cliché melodrammatico con flashback di bambini&serenità che tu pensi: "...ma vaffanculo!".


E qui il film mi è crollato. Per forza. Sottolineo che il libro l'abbia letto dopo la visione, perchè mi è proprio sembrato assurdo un finale del genere. Infatti è molto più bella la versione cartacea (e non è del tutto una novità); uguale ad essa c'è solo il background. Ma ribadisco: se una cosa la fai bene, puoi fare tutte le modifiche che vuoi; se fai cazzate, non ti metti a fare film ma, piuttosto, scrivi su un blog e recensisci film! Almeno impari da errori altrui!


Voto: 5 procedimento esatto, errori di calcolo, risultato sbagliato

mercoledì 19 giugno 2013

Vita di Pi


Titolo originale: Life of Pi
Paese: USA
Anno: 2012
Regia: Ang Lee
Cast: Suraj Sharma, Irrfan Khan, Rafe Spall, Gérard Depardieu
Genere: avventura, drammatico


Il film che sto per recensire è tratto dall’omonimo romanzo di Yann Martel, che ha preso vita grazie alla visionarietà di Ang Lee.

La storia è raccontata dal punto di vista di Pi adulto, il quale si rivolge ad uno scrittore (Yann Martel) che vuole scrivere un libro sulla sua vita; il film quindi è strutturato come un lungo flashback.

Piscine Molitor Patel (per gli amici Piscione) è un ragazzo indiano che vive nella parte francese dell’India con il padre, la madre e il fratello. Suo padre è proprietario di uno zoo che ospita numerosi animali tra cui, il pezzo forte, una tigre del bengala chiamata Richard Parker (per un errore di trascrizione le venne affidato il nome del cacciatore che l’aveva catturata).

Il povero Piscine viene preso per il culo da tutti i compagni di scuola per il suo nome, così decide di abbreviarlo in Pi e dice a tutti che il suo nome deriva dal Pi greco. Così facendo, Pi fa un figurone davanti ai professori della scuola ma non davanti ai compagni che, se prima lo sfottevano per il nome assurdo, adesso lo sfottono perché è un secchione.

Di fronte alle crescenti difficoltà economiche, la famiglia decide di trasferirsi in Canada in cerca di fortuna. Durante il viaggio però, una tempesta fa affondare la nave mercantile giapponese su cui viaggiavano con tutti gli animali. Pi è l’unico sopravvissuto e riesce a salire su una scialuppa di salvataggio. Ma sulla scialuppa non è solo, insieme a lui troviamo una iena, una zebra e un orango. Successivamente la iena uccide la zebra e l’orango ma, improvvisamente, spunta Richard Parker che divora la iena.

Pi si ritrova quindi faccia a faccia con una tigre nel bel mezzo dell’oceano e deve cercare di sopravvivere usando la sua intelligenza. Tra i due si verrà ad instaurare una convivenza forzata, ma tutto è molto più di quello che sembra…

La storia è affascinante, si entra da subito in un atmosfera “magica” e “trascendentale”.

Il film è un’ avventura basata sulla crescita e sulla formazione del protagonista in costante ricerca di un senso alla sua vita, raccontata utilizzando l’espediente dell’allegoria.

Chissà cosa ne avrebbe pensato se fosse ancora vivo?

Il personaggio di Pi è interessante perché esprime una forte indole “spirituale” ma allo stesso tempo una curiosità razionale (il nome Pi infatti deriva da Pi greco), di chi non ha paura di mettere in discussione le convinzioni imposte dalla società e dai dogmi religiosi per indagare a fondo sulla sua vita, sempre in cerca di risposte, anche approcciandosi a diverse religioni/filosofie; esemplare in questo senso la frase del protagonista mentre dialoga con lo scrittore: “la fede è come una casa con tante stanze”.

 Il film quindi, racconta la vita di Pi ma allo stesso tempo racconta la vita di tutti noi, che cerchiamo una risposta alle nostra domande, ognuno seguendo un proprio percorso, sempre in lotta tra la nostra parte istintiva (la tigre) e quella più umana/razionale (Pi).

Senza voler spoilerare, la cosa ancora più bella è che alla fine del film tutta la storia di Pi viene rimessa in discussione. Forse, avrebbero potuto concentrarsi di più su questa parte finale che invece mi è sembrata troppo frettolosa.

La natura svolge una parte fondamentale nello sviluppo della storia. Le ambientazioni  sono molto dettagliate e i paesaggi semplicemente spettacolari, con una natura travolgente. D’altronde, queste due caratteristiche sono sempre state un punto forte del regista (basti pensare a La tigre e il dragone).

Il direttore della fotografia qui ha fatto un lavoro sbalorditivo, soprattutto nella descrizione degli ambienti, infatti la potenza delle immagini è sorprendente, grazie alla scelta delle inquadrature e al montaggio. Quello che salta all’occhio è la “luminosità” e la varietà di colori.

Insomma, Ang Lee a livello tecnico non si discute.

Il Ritmo è notevole, nonostante gran parte del film si svolga su una scialuppa con solo due personaggi sulla scena.

Il film risulta scorrevole anche grazie alla recitazione, in effetti devo dire che è stata coraggiosa la scelta di utilizzare attori pressoché sconosciuti ma comunque bravi e di talento.

Ok, lui non è proprio un attore alle prime armi...

A volte, si rischia di rimanere troppo assuefatti dalla maestosità degli effetti speciali. La scena del naufragio ad esempio, punta troppo sulla grafica digitale, risultando fin troppo veloce e priva di drammaticità. In questo, il film si avvicina pericolosamente ad “Avatar”, giusto per fare un nome.

Ora, non voglio dire che il computer non si debba mai utilizzare; anche perché, finché c’è il rischio di uccidere un animale o di essere sbranato da una tigre per girare una scena, ben vengano gli effetti digitali. Il grosso problema del CGI è che, per quanto le immagini siano di grande effetto, si vede sempre che sono fittizie e aggiungono troppa “freddezza”.

Esattamente per lo stesso motivo per cui apprezzo di più un film come “La Casa”, dove per i mezzi limitati si utilizzano un pezzo di pongo, un po’ di plastilina e del pomodoro per creare qualcosa che sullo schermo funziona, poiché mette a frutto la creatività e l’ingegno del regista che si è dovuto “arrangiare”. Questo per dire che spesso è dai progetti meno “ambiziosi sulla carta" che nascono le idee più originali ed efficaci (ricordiamoci sempre che “La Casa” è del 1981). Diversamente, in un film come "Avatar" dove sono stati spesi fior fior di miliardi, dopo un po’ ti sembra di vedere un videogioco più che un film, in cui sembra divertirsi molto di più il creatore piuttosto che lo spettatore.

"Sono il re del mondo!"

Qui per lo meno, a differenza del film di James Cameron, la storia c’è ed è originale (merito del romanzo) e i personaggi non sono banali. Inoltre, non manca la natura incontaminata e sono presenti molte ambientazioni reali (che diventano quasi un personaggio aggiunto).

Nonostante il film presenti un forte elemento di profondità, si vede che cerca di accontentare un po’ tutti, quelli che cercano il blockbuster in 3d con grandi effetti speciali e quelli che hanno voglia di riflettere su temi forti e provocatori (sì, in effetti è un po’ paraculo). È proprio per questa furbizia che mi ha lasciato un po’ con l’amaro in bocca.

Detto questo, si tratta comunque di un buon prodotto, di certo non è un capolavoro. Diciamo che se prima di vederlo avevo il terrore di trovarmi di fronte al nuovo "Avatar" (come veniva detto nella pubblicità) devo dire che alla fine mi sono ricreduto.


Voto: 7   

sabato 15 giugno 2013

Drive



Titolo originale: Drive
Paese: USA
Anno: 2011
Regia: Nicolas Refn
Cast: Ryan Gosling, Carey Mulligan, Albert Brooks
Genere: azione (?), noir, thriller (?)


Sono stato quieto per troppo tempo.

Ci hanno provato in tutti i modi: Warm Bodies, Iron Man 3, Shailene Woodley in Amazing Spiderman 2, Johnny Storm nei Fantastici 4 e addirittura con Prometheus, per farmi incazzare pesantemente.
Ma sono stato calmo.

Anche perchè cerco sempre di tenermi aggiornato sulle novità del mondo del cinema tramite altri blog e, bene o male, provo ad analizzare ogni film su punti di vista che magari non ho perfettamente valutato durante la visione. Quel che ne esce è una recensione sì personale, ma anche che tenga conto di quasi tutti gli aspetti, senza essere troppo violenta e basata solo sulle mie prime sensazioni. Sennò i consigli sarebbero inutili, non vi pare?

Ma oggi non va così.

Stavolta si va controcorrente.

Porca puttana, oggi faccio su un macello

Ti prego, Luro, così mi spaventi!


Ogni volta che cerco delle recensioni su Drive vedo sempre elogi maestosi, millemila stelle e complimenti vivissimi; che quando accade ciò io sospiro, mi tolgo gli occhiali e penso: "Perchè?"

Sono dunque io l'unico essere umano che ritiene questa pellicola una semi puttanata?

Vediamo la trama e cerchiamo di ragionare.
Questo film gira intorno a un protagonista, che chiameremo l' "innominato" (a causa del fatto che il suo nome non ci è dato sapere), il quale ha una doppia vita: di giorno è un rispettabile meccanico e stuntman di Hollywood per le scene pericolose di auto mentre di notte è autista di rapinatori di banche.

Esattamente, quando si fa una rapina, lo si  chiama perchè, visto che è un gran bravo, riesce a seminare la polizia.

E fin qui pensi: "però...che figata"; già le primissime scene sono girate da Dio.

Poi (purtroppo) il film continua:

L' innominato ha una vicina di casa molto bella.
Lui piace a lei.
Lei piace a lui.
Lei ha un marito.
Il marito però è in carcere.
Il marito quando esce dal carcere ha un problema.
Innominato lo vuole aiutare
Sembra una cosa facile, dai.
La trama si tranquillizza un attimo.
Cazzo
Che succede?
C'è un problema.
Che problema?
Il problema sarà l'evoluzione del film.

Adesso respirate e fate una pausa; ci siete? Ok, ora rispondete alla domanda, per favore.

Non vi da fastidio leggere una recensione così? Lenta, a tratti insopportabile, che tu la leggi e pensi: "E quindi?"

Ecco, ora immaginatevi 95 minuti in cui il ritmo è sempre così: lento.

Effetti indesiderati

Ok, "evidentemente non c'è poi tanta azione e si punterà più sul dramma e sulla parte psicologica" ho pensato. Coglione Luro, coglione.

Perchè i personaggi hanno sempre la stessa cazzo di espressione, e uno su tutti, il protagonista Goslying

"Avrò tolto la pasta dal fuoco?"

Su internet leggo: "vedete questo film, è imperdibile" oppure "a chi non piace questo film, non capisce niente di cinema", e ancora "siamo davanti a un nuovo genere, inchinatevi".

Allora, che sia effettivamente un genere nuovo, sono d'accordo: è la prima volta che vedo un thriller con una fortissima impronta noir malinconica che, sotto un certo punto di vista, stravolge i punti del genere stesso.
Così come è vero che ci sono alcune scene (con il contagocce eh, non esageriamo) in cui i ritmi accelerano tantissimo.



Inutile accelerata del ritmo
Ma tre scene di 5 minuti su un film di 95, sono tastabili come una scorreggia nel vento.

Anche tecnicamente parlando non ho visto un gran che: se salviamo le poche scene sopracitate, non ho notato questo grande capolavoro come tutti descrivono.
Sarò fesso io, che vi devo dire.

Poi va beh, mi risollevo pensando che molti ritengono Il Gladiatore un grandissimo film.

Ad ogni modo, siamo sempre qui: ne ho parlato anche nella recensione di The Descent; il pubblico si evolve, e il cinema (volente o nolente) deve trovare il giusto dosaggio fra il passato e l'attuale.

Ovvio, se sei troppo moderno prendi solo una fetta del pubblico (come è successo ad Iron-man 3 che sto ancora bestemmiandoci sopra), se sei troppo attacco alla tradizione, rischi di annoiare.

Qui devo dire che il regista ha preso tutto quello che c'è di attuale nei film di macchine (le tamarrate di stile Fast&Furious per esempio) e l'ha buttato nel cesso, e noi lo ringraziamo: poi ha preso ambientazioni e stili anni '80 e ha fatto un film con canoni totalmente nuovi.
Questo sicuramente è apprezzabile; il punto è che, però, uno spettatore queste cose deve notarle, ci deve riflettere su e "digerire la pellicola".

Ma allora non puoi essere dinamico come il doppio passo di Alvarez in un film di azione. E' un controsenso. Punto.

Girano i coglioni eh, perchè questo lavoro del regista è meritevole, ma è il classico film che è partito con una idea nuova e originale ma applicata, secondo me, in modo sbagliato.

Ora vado, i critici di cinema mi stanno aspettando per il linciaggio

Voto: 4.5

mercoledì 12 giugno 2013

Il cielo sopra Berlino


Titolo originale: Der Himmel uber Berlin
Paese: Germania, Francia
Anno: 1987
Regia: Wim Wenders
Cast: Bruno Ganz, Solveig Dommartin, Otto Sander, Curt Bois, Peter Falk
Genere: drammatico, fantastico


Un film che parla di angeli che osservano la gente in una grande metropoli? So cosa state pensando, dimenticate Nicolas “faccia da pesce lesso” Cage e Meg “piango in ogni inquadratura” Ryan, il film che sto per recensire non è “La città degli angeli”, bensì “Il cielo sopra Berlino”.

Si tratta del tipico caso di capolavoro europeo che gli americani, invece di godersi in tutto il suo splendore, hanno pensato di rifare, facendo venir fuori “il fratello scemo” del film di Wim Wenders. 

Il film che vado a recensire è ambientato a Berlino negli anni Ottanta, in una città segnata dalla guerra fredda. Due angeli chiamati Damiel e Cassiel vagano per la città invisibili agli occhi della popolazione e incapaci di interagire con essa. I due sono sempre stati angeli prima ancora della nascita del genere umano, quindi hanno visto Berlino prima ancora che questa fosse una città.

La loro unica attività è quella di osservare gli abitanti e ascoltare i loro pensieri più profondi. Durante il film incontrano un vasto numero di personaggi, ognuno immerso nei suoi pensieri, con delle aspirazioni e dei problemi da risolvere.

Esempio di "pensiero profondo"

In questo modo, il film riesce a soffermarsi non solo sulla storia dei due angeli, ma porta anche ad una riflessione sulla città di Berlino. Infatti, tramite i pensieri degli abitanti, si ha un affresco di quello che è il passato e il presente della città. Come, ad esempio, quando ascoltiamo i pensieri di un anziano chiamato Omero, che aveva vissuto nella Berlino dell’epoca del Nazismo, attraversando tutta la Seconda Guerra Mondiale.

Un luogo molto importante nel film è il muro di Berlino, la sua presenza è costante in tutta la pellicola ed è il simbolo di una città divisa, che non ha ancora risolto i suoi problemi con il passato.

Un giorno, Damiel arriva in un circo dove vede una trapezista chiamata Marion e se ne innamora. Da quel momento, il desiderio dell’angelo di poter vivere come un essere umano diventa sempre più forte. Ad aiutarlo a compiere questo passo decisivo, vi è un personaggio fondamentale …

"Sì, esatto, sono io il personaggio fondamentale, ma non aggiungo altro, dovete arrivarci da soli!..."

La fotografia è semplicemente splendida e riesce a farti immedesimare nella vicenda. Infatti, siamo subito partecipi in quanto, come gli angeli, anche noi osserviamo e ascoltiamo i pensieri più intimi della gente, quasi in prima persona.

Ad aiutare in questo senso, sono anche i dialoghi che mettono in scena tutte le domande, i pensieri, le paure e le aspirazioni dell’uomo. Un film fatto di tante piccole storie che prendono vita sotto il cielo di Berlino.

il film è un vero e proprio elogio della “vita terrena” in tutta la sua complessità e nelle sue piccole cose, di cui molte volte neanche noi ci accorgiamo.

Interessante anche la contrapposizione che si viene a creare tra i due angeli, uno attratto dalla vita umana e l’altro più legato ad una dimensione “angelica”.

Infatti, Damiel decide di vivere la vita pienamente da umano, rischiando e accettando le sue inevitabili difficoltà piuttosto che stare in disparte. D’altronde, quante volte anche noi, come gli angeli, stiamo a guardare la vita piuttosto che viverla?

Il tutto viene comunicato con un linguaggio altamente simbolico e poetico, quasi come se fosse una favola moderna.

Molto bella l’idea del passaggio dal bianco e nero (che è il modo in cui gli angeli vedono il mondo) ai colori (quando Damiel diventa umano), tale cambiamento simboleggia una rinascita, un nuovo modo di vedere la vita. La scelta del monocromatico è dovuta al fatto che gli angeli possono captare i pensieri più profondi dell’uomo ma non possono sentire tutte le sensazioni che ogni uomo vive quotidianamente, come ad esempio la visione dei colori.

Un film a tratti dolce e malinconico nel ritrarre lo sguardo degli angeli verso gli uomini e allo stesso tempo amaro quando riprende i disagi dell’essere umano.

Da non perdere!


Voto: 10

giovedì 6 giugno 2013

The Gerber Syndrome: Il contagio



Titolo originale: The Gerber Syndrome - Il Contagio
Paese: Italia
Anno: 2011
Regia: Maxi Dejoie
Cast: Valentina Bartolo, Luigi Piluso, Sax Nicosia, 
Genere: horror


Sono particolarmente contento.

Questo film mi ha dato una grande linfa vitale. Il che è un paradosso, visto che si tratta di una pellicola del genere "pandemia causata da un virus che ti rende pazzo e aggressivo".

Sappiamo che questa trama non è nuova; affinché un film del genere abbia dunque successo, TUTTI gli altri elementi che vanno oltre al plot devono essere praticamente perfetti: regia, scenografia, sceneggiatura e recitazione non possono permettersi sbavature.
A maggior ragione quando il tutto è sviluppato in POV (Point Of View, in prima persona), dove bisogna saper recitare, senza dover dare l'impressione di recitare.

Oh...cacchio, ma questo è un teschio! Che schifo
Molti ritengono questo espediente una "scusa" per gli attori che non sanno recitare bene o del regista che non riesce a fare un film in terza persona "perchè è difficile". Io di questa idea mi ci pulisco il culo.

Ma torniamo a noi.

In primis, il budget a disposizione non era sicuramente dei più alti (parliamo di film indipendente della Indastria Film), quindi tiriamo in ballo attori non tanto conosciuti e strumenti di regia che magari non sono proprio come quelli di Hollywood.
La trama, come già descritto, segue la scia del genere "virus che infetta la gente e la rende pazza" e rientra in pieno nel genere Horror (28 giorni dopo, L'alba dei morti viventi sono i più famosi del genere)...

Ok ascoltate, mi sono rotto le palle di scrivere in modo tranquillo (e credo che si sia notato), ho le mani che mi prudono e voglio scatenarmi!



Gerber Syndrome è la dimostrazione lampante che, se si usa la testa e il cuore, si è capaci di fare, anche con pochi soldi, un ottimo lavoro; infatti, anche se la base del film è una storia già usata, il regista è stato capace di creare qualcosa di molto bello, semplice ma al tempo stesso interessante. Vi voglio dire pochissimo della trama perchè non voglio spoilerarvi nulla: una troupe giornalistica segue alcuni personaggi che hanno a che fare con il morbo, facendo domande e quant'altro, per spiegare come esso sia alla base della vita di molti: da dottori, a sorveglianti, fino alla gente comune.

Il bello del film è proprio questo: l'approccio che le persone hanno verso il morbo, le reazioni e le paure di chi sa che potrebbe infettarsi da un momento all'altro, senza però perdere gli elementi di angoscia e tensione.

Se ti viene in mente un motivo ci sarà

Inoltre, è incredibilmente facile entrare nel mondo sullo schermo per il fatto che le ambientazioni siano le strade italiane; quel senso di attualità non me lo sarei aspettato.

D'altro canto, si può anche notare una vena di critica e satira sulla condizione sociale italiana: non a caso si evidenziano i problemi che nascono dalla mancanza di soldi e l'assenza di aiuto da parte dello Stato, che manda ragazzi allo sbaraglio e non da aiuto ai bisognosi.

Attori bravissimi e un regista originale, pur con un budget ridotto, sono riusciti darmi una grande ventata di ottimismo in tempi in cui il cinema italiano mi ha fatto storcere il naso.

Certo, non si può immaginare che tutto scorra liscio e senza errori; per almeno un paio di volte ci sono delle scene con degli errori, ma sono dell'idea che, con tutte le trovate perfette e originali, se i soldi son pochi ci si deve arrangiare come si può! E se "La Casa" di Raimi è stata fatta con "qualchemila dollari" e ha un avuto un successo strepitoso, non vedo perchè non si possa gustare The Gerber Syndrome e sperare in una sua vittoria mediatica.

Beh..che altro dire: se trovate il dvd compratelo/noleggiatelo o regalatelo ai vostri amici amanti del genere; avrete l'occasione di premiare un film indipendente meritevole e, soprattutto, Made In Italy.

Chapeau!

Voto: 8 (tenendo conto del budget, dell'idea e delle difficoltà)

martedì 4 giugno 2013

Scheda Di Un Personaggio: Alien



Salve a tutti, cari amici del ueb!

Con questo saluto alla Mike Bongiorno, segno il mio ingresso nel vasto mondo delle “schede di…”. Per me è sempre stato difficile affrontare questa nuova e scintillante rubrica, il motivo è che gli argomenti e i personaggi che vorrei trattare sono tanti, il problema è COME trattarli, che poi è sempre stato il problema che avevo nelle prime recensioni. Poi, si sa, ti fai un po’ la mano e il resto vien da sé…

Probabilmente, questo mio disagio iniziale, si avverte anche dal fatto che sto occupando un sacco di righe con un introduzione assolutamente inutile, non pertinente con l’argomento che vado a trattare e, fondamentalmente, piena di cose senza senso!

Esempio di "cosa senza senso"

Ma ora veniamo al dunque. Dato che la prima scheda del mio fidato collega Luro riguardava il Predator, ho deciso di trattare un altro famosissimo “mostro” spietato del cinema, che viene unanimemente considerato come l’antagonista principale del Predator. Sto parlando di "Alien".

Stavate pensando a lui, vero?

Ma chi è questo "Alien"? Innanzitutto non si chiama "Alien", la nostra creatura viene infatti denominata "Xenomorfo" (dal greco Xenos= “insolito,estraneo”; e Morphé= “forma”), il termine serve per descrivere una creatura aliena che non ha nulla di umano. Abbastanza eloquente è la definizione della creatura da parte di Ash, nel primo film della serie:

“un perfetto organismo, la sua perfezione strutturale è pari solo alla sua ostilità… un superstite, non offuscato da coscienza, rimorsi, o illusioni di moralità”

Non vi sto a spiegare la storia dello Xenomorfo perché rischierei di fare uno spoilerone gigantesco. Vi dirò soltanto che il nostro beniamino compare per la prima volta nel film Alien di Ridley Scott del 1979.

La trama è semplice: l’astronave Nostromo sta tornando sul pianeta Terra con del carburante minerale raccolto in un pianeta sperduto nell’universo. L’equipaggio, di cui fa parte la nostra eroina Ripley, si trova in stato di ibernazione per il lungo viaggio. Ad un certo punto, ricevono un segnale di aiuto proveniente da un pianeta sconosciuto. L’equipaggio, una volta risvegliatosi, decide di andare in soccorso e atterrano con la loro navicella sul pianeta. Durante una perlustrazione per scoprire l’origine del segnale, viene rinvenuto un relitto alieno e, poco distante, vengono trovate delle uova…

Oh, che bello! Chissà che sorpresa trovo questa volta?

Il primo film è un capolavoro assoluto. Ridley Scott è riuscito a fondere alla perfezione l’horror con la fantascienza. Una pellicola Inquietante, terrificante e ricca di suspense, dove a dominare sono le ambientazioni cupe e claustrofobiche.

Il film è rivoluzionario perché il male non viene dall’esterno ma dall’interno, infatti l’alieno nasce “all’ interno” dell’essere umano. Il tutto può essere inteso come una metafora, quasi a voler dire che dobbiamo stare attenti, perché l’essere umano è in grado di creare un “mostro” se mette a tacere la ragione. Difatti, man mano che aumentano gli errori e le paure degli umani la creatura cresce sempre di più.

Ma vediamo nel dettaglio di cosa è capace lo Xenomorfo. Dovete sapere che la nostra simpatica creatura presenta innumerevoli caratteristiche che lo rendono un perfetto predatore assassino:

  • Al posto del sangue, lo Xenomorfo presenta un acido capace di fondere praticamente TUTTO.
  • Gli Xenomorfi, grazie al colore scuro della loro pelle (di solito nero o verde scuro), sono in grado di mimetizzarsi in ambienti poco illuminati e, in poche parole, ESCONO DALLE FOTTUTE PARETI!!! In questo modo, grazie anche alla loro estrema agilità e velocità, attaccano di sorpresa la vittima. 
  • I loro attacchi avvengono quasi sempre in gruppo, questo denota una grande intelligenza da parte di queste creature.
Sono anche astuti calcolatori


  • Lo Xenomorfo presenta un cranio dalla forma vagamente fallica.
  • Oltre ad avere una bocca munita di zanne affilate, è dotato di una particolare “lingua” dentata (avente la conformazione di un tubo) che la creatura è in grado di fare entrare e uscire dalla bocca a suo piacimento (scusate, questa frase mi è venuta un poco ambigua).
  • Lo Xenomorfo, oltre ad avere una forza sovraumana, riesce a resistere praticamente a TUTTO, ad eccezione del fuoco.
  • Possiede una lunga coda alla cui estremità si trova un pungiglione (sì, un po’ come l’ape Maia), utilizzato per iniettare del veleno che paralizza le vittime, dando la possibilità di ucciderle in tutta calma.
  • La loro riproduzione è asessuata, infatti sono famosi per il fatto di poter impiantare i loro embrioni all’interno dell’organismo ospite tramite i più disparati orifizi. Una volta sviluppato, l’embrione fuoriesce dall’organismo ospite, spesso sfondando il petto della vittima, causandone la morte. In pratica, se ti dovesse capitare di incontrarlo, sei fortunato se ti ammazza all’istante, altrimenti (se gli gira) ti può ingravidare senza prima invitarti a cena, ovviamente saltando tutti i preliminari.
  • Inoltre, l’embrione alieno è in grado di combinarsi con il DNA dell’ospite, dando vita ad innumerevoli mutazioni, a seconda del bersaglio scelto.

Perché no?

  • Le famose uova vengono deposte da una cosiddetta “Regina”. Queste non contengono un embrione, ma un essere intermedio che sarà poi in grado di impiantare gli embrioni. Questo a dimostrare che gli Xenomorfi, anche se violenti e crudeli, possiedono una loro gerarchia, al cui vertice si trova la Regina, un po’ come le api per intenderci.
  • A differenza del Predator, gli Xenomorfi non hanno un codice d’onore, uccidono chiunque non sia della loro razza, a meno che non ti vogliano usare per impiantare i loro embrioni.  

Al momento dell’uscita nei cinema, "Alien" ha avuto un successo clamoroso, questo ha fatto sì che negli anni venissero realizzati numerosi sequel (e due spin-off: Alien vs Predator e Alien vs Predator 2).

La serie cinematografica, oltre a mettere al centro lo Xenomorfo, è innovativa perché a fare da vero filo conduttore di tutti i film è Ripley, la prima vera donna cazzuta che apre la strada a tante altre negli anni a venire.

Aliens – Scontro finale del 1986 (per la regia di James Cameron) di certo non è migliore del primo ma comunque è un gran film, molta azione e molti più personaggi coinvolti nella vicenda (e anche molti più alieni!). Ha il pregio di non replicare le atmosfere di "Alien" e di cercare di utilizzare ambientazioni più ampie e meno circoscritte, puntando molto di più sugli effetti speciali e sulle esplosioni. Emerge ancora di più il personaggio di Ripley, diventato il nemico numero uno degli alieni.

E poi in questo film "ESCONO DALLE FOTTUTE PARETI!!!"

Per il terzo film della serie la regia passa a David Fincher e così, nel 1992, esce Alien 3 (che in realtà sarebbe Alien al cubo ma non so come si scrive). Come per il precedente film, si è deciso ancora una volta di cambiare l’ambientazione, stavolta infatti siamo su un pianeta. La scenografia denota molta originalità, infatti l’idea del pianeta-carcere non è male. Ritornano ancora una volta le sequenze claustrofobiche e cupe del primo film (come quella del tunnel…). Nonostante questo, il film risulta sicuramente più debole dei precedenti, soprattutto per alcune soluzioni narrative.

Il quarto film del 1997, Alien - La clonazione (diretto da Jean-Pierre Jeunet), si concentra molto di più sulla narrazione e sulla storia rispetto al film precedente (l’idea della clonazione è un espediente molto originale nel tentativo di proseguire la serie). Molto belle le scenografie e attori in gran forma. Il rapporto tra Ripley e l’alieno diventa più “grottesco”. A mio parere, si trova un gradino sopra il film di Fincher ma, comunque, non raggiunge le vette dei primi due film.

Di Prometheus ho già parlato nel blog, più precisamente qui. Un film che, secondo il parere del regista, non dovrei considerarlo legato alla serie perché “non è un prequel, ci sono solo molti elementi in comune con l’universo di Alien ma per il resto non c’entra niente”; come se George Lucas prima dell’uscita de "La Minaccia Fantasma" avesse detto “No, non è un prequel, è solamente la storia di Anakin Skywalker da bambino che poi nei prossimi due film diventa Darth Vader”.

Bene, siamo giunti alla fine, visto che la qualità dei sequel tende decisamente al ribasso rispetto al primo "Alien", speriamo solo che in futuro non vengano realizzati clamorosi sputtanamenti. 

"E comunque ricordatevi, non siamo poi così cattivi!"

N.B.: l’aspetto esteriore della creatura nasce dalla mente dell’artista svizzero Hans Ruedi Giger. Invece, per quanto riguarda i primi piani del film, è stato ingaggiato Carlo Rambaldi per la realizzazione della testa dello Xenomorfo.