mercoledì 11 settembre 2019

Mademoiselle - The Handmaiden




Titolo originale: Ah-ga-ssi (titolo coreano) o The Handmaiden (titolo internazionale)
Paese di produzione: Corea del Sud
Anno: 2016
Regia: Chan-wook Park
Cast (voci dei doppiatori): Kim Min-hee, Kim Tae-ri, Ha Jung-woo, Cho Jin-woong
Genere: thriller, erotico


Soprassedendo sul fatto che non si pubblica da eoni su questo blog (ma le strade della vita sono strane e imperscrutabili) e  soprassedendo anche sul fatto che avevo quasi pronto (mesi e mesi fa) un post extra-large sui 25 film che avevo più amato nel 2018 (ma ormai siamo ad oltre metà 2019 eheh), torno a scrivere su un film che, semplicemente, mi ha fatto tornate voglia di scriver pensieri di celluloide, quindi che dire, via con la recensione! 

Mademoiselle è l'ultima opera di uno dei più grandi registi della contemporaneità che, ritornato in patria, dopo la trasferta americana del non completamente soddisfacente Stoker, dirige un affresco di rara bellezza: anni ’30, occupazione giapponese della Corea, un falsario e una ladruncola semi-analfabeta (Sook-hee, assoldata dal falsario per infiltrarsi come cameriera) si mettono in testa di concupire la giovane, bella e ricca Hideko per sottrarle, tramite un arzigogolato stratagemma, la sua cospicua ricchezza, derivante dalla sconfinata collezione di libri e manoscritti erotici dello zio-tutore legale della ragazza (oltre che perverso e sadico conte libidinoso, si capirà da subito quindi nessuno ‘spoiler alert’). Il piano prevede che il falsario si spacci per un ricco conte anch’egli e che la nuova cameriera personale della “delicata” Hideko la spinga a sposare il bellimbusto; una volta sposati, l’idea sarebbe quella di far passare per pazza la “povera” Hideko e sottrarle la sua ricca dote.


Il cast di protagonisti: in barba al politically correct, chi sono i coreani e chi i giapponesi?


Seguendo lo sviluppo dell'intricata matassa che compone questo film di ben 168 minuti, estremamente appaganti ed inebrianti, salta subito all'occhio il colpo di genio di Park che, non procede su una linea retta ma decide di giocare su più piani temporali e raccontarci questa storia ricca di colpi di scena e di doppi e tripli giochi, prima dal punto di vista della ladruncola-cameriera con cui è facile immedesimarsi, per poi rinarrare gli stessi avvenimenti da un’altra prospettiva, ribaltando parole, gesti e situazioni che ci sembrava di aver pienamente compreso (e quel capolavoro di Rashomon di Akira Kurosawa ringrazia come al solito, essendo, per chi non lo sapesse, il padre di qualsiasi narrazione in cui un evento cardine viene rinarrato da più punti di vista ed ogni volta acquista un'interpretazione diversa. E anche Tarantino ringrazia).

Ma cosa turberà la buona riuscita del complesso piano di questa coppia Lupin-Fujiko tutta coreana? Beh, il fatto che Hideko e Sook-hee inizieranno a conoscersi, piacersi e desiderarsi e finiranno con l’avere le esperienze sessuali più appaganti delle loro giovani vite, girate tramite scene dalla regia funambolica e pregne di inventiva nel piazzare la telecamera (e non aggiungo altro)!
La dialettica servo-padrone
Due precisazioni sono inoltre importanti riguardo questa pellicola: innanzi tutto la fonte di ispirazione e cioè il romanzo Ladra di Sarah Waters, il quale, però era ambientato nella Londra vittoriana del 1862 e la seconda riguarda l’occupazione giapponese in Corea (dal 1910 al 1945, storia abbastanza recente) che prevedeva una sorta di “annientamento culturale” dei coreani, costretti ad avere un nome giapponese e ad adeguarsi dal punto di vista, ad esempio, religioso alla cultura dominante.

Comunque sia, ritornando alla regia e alla messa in scena di questo gioiellino, non si può non notare la maniacalità con cui ogni scenografia viene sistemata, ogni oggetto sta in quella precisa posizione e non in un’altra e i costumi, le pose e i particolari della rappresentazione di ogni singolo personaggio sono curati nei minimi dettagli. Colori, spazi e movimenti di camera originali sono utilizzati da Park per riprendere l’ambientazione principale, il micro-mondo formato dall’enorme villa dello zio di Hideko (con architettura metà all’occidentale e metà alla giapponese), la quale comprende sale di lettura molto particolari, passaggi segreti che portano ad una sorta di 'camera degli orrori' e la presenza di un animale noto ai fan di Park, della trilogia della vendetta e di Oldboy in particolare: il polpo, e anche qui non aggiungo altro.
Gli unici altri luoghi che prenderanno parte alla storia sono una nave diretta verso il Giappone (ripresa nei suoi ambienti con un rigore geometrico e una simmetria di kubrickiana memoria) e dei piccoli sprazzi di Giappone.
Come può degenerare la messa in scena in 'live action' del contenuto di un libro/manoscritto!
Torture, perversioni e ‘rappresentazioni teatrali’ in live action di testi erotici proibiti saranno presenti nella pellicola ma non sono estetizzati in maniera da renderli scioccanti e fini a sé stessi; sono, invece, tutte grandi metafore di dominio e sottomissione (di un intero popolo, dell'uomo verso la donna) e dell’ossessione del controllo di uomini che cercano, invano, di assoggettare l’altra metà del cielo. E, proprio a proposito di queste ultime, altro grande tema della pellicola è una sorta di “abbraccio collaborazionista femminista” che ribalta e ridicolizza gli ideali di virilità maschile, facendo apparire gli uomini come esseri piccoli e gretti nelle loro manie e nelle loro meschinità. Impietoso è il confronto tra le scene erotiche uomo-donna (brevi e insoddisfacenti) e quelle donna-donna, lussureggianti e intense.
Altro tema attorno al quale ruota l'affresco di Park, abbastanza scontatamente, è quello del falso (il falsario, i libri falsi, i rapporti falsi, i baffi finti e volti che nascondono volti che ne nascono altri), dei propri doppi e dell’inganno (verso gli altri e verso sé stessi).
Hideko, in tutto il suo splendore, negli abiti in cui è costretta ad interpretare i libri dello zio per un ristretto gruppo di leziosi nobiluomini

In ultima analisi, sono da sottolineare le splendide performances attoriali delle due attrici protagoniste e il lavoro di contrapposizione che viene fatto con i loro caratteri, una algida e fragile, l’altra sfrontata e piena di vita, una ingenua e inesperta, l’altra scaltra e manipolatrice, ma, se mi avete seguito fin qui, saprete che l’unica domanda giustamente da porsi è: “sarà davvero così?”.
Piccolo appunto finale su una scena cardine del film: vi è un momento in cui un gran quantitativo di libri vengono strappati, spezzati, squarciati e "annegati", normalmente scene in cui vengono distrutti libri ci fanno tornare alla mente le persecuzioni di qualche dittatura X o il noto falò di Fahrenheit 451 di Bradbury e quindi solitamente un qualcosa di estremamente deprecabile, sinonimo del voler distruggere la cultura e la fonte di conoscenza per un popolo; qui, invece, assume un significato ben diverso e rappresenta un atto liberatorio e di emancipazione per Hideko, pronta a fuggire dalla propria segregazione e dall'ingerenza dello zio!


Ah, ultimissima chiosa: il film era nelle nostre sale italiche settimana scorsa (ora lo potete, forse, trovare in qualche saletta ARCI o in qualche cineclub), è uscito con giusto quei 3 anni di ritardo rispetto la sua distribuzione internazionale (e dopo aver fatto il giro di tutti i festival più importanti), in quelle 16 sale in tutta Italia che lo proiettavano che sia mai che usarne un paio in più delle 600 e passa in cui viene proiettato il Re Leone (rifatto e ri-impacchettato per il nuovo business del prodotto-nostalgia), finisce che rovini gli incassi alla Disney! Bene così!

Su queste note polemiche, concludo il mio intervento, se vi va di guardare questa perla dall'oriente, sarò felice di sapere cosa ne pensiate e se, invece, siete dei cinefili, con una spiccata propensione per ordine e liste di ogni genere, potete seguire il mio profilo IMDB dove annoto film visti durante l'anno, buoni propositi e classifiche di vario genere:

Voto






giovedì 13 dicembre 2018

Bohemian Rapsody


Titolo originale: Bohemian Rapsody
Paese: USA, Regno Unito
Anno: 2018
Regia: Bryan Singer
Cast: Rami Malek, Lucy Boynton, Gwilyn Lee, Ben Hardy, Joseph Mazzello, Aidan Gillen
Genere: Biografico, musicale, drammatico


Ci siamo.

Sono letteralmente cresciuto con i Queen, poche storie.


Quando ero molto piccolo e mia zia mi chiedeva "Qual è la tua canzone preferita?" io che l'inglese lo ritenevo un qualcosa di astratto rispondevo con un bel TUN TUN CHA! e mio fratello mi guardava fiero (prima) e schifato (dopo) ma si sa che i fratelli maggiori sono alla buona fatti della stessa materia con cui sono fatti i post cena.


Ma sto divagando.


Ci siamo, dicevo.

Aspetti questo film da più o meno sempre, conosci a menadito ogni singola canzone, forse un po' meno la biografia completa dei Queen e del leader Mercury. Oddio... AIDS, omosessualità sono temi assai presenti e diciamo che alla buona sai che Freddie Mercury nato Farrok Bulsara era un personaggio molto particolare ma essendo te nato esattamente un anno prima della sua scomparsa ti sei perso praticamente tutta la vita dei Queen e quindi hai solo avuto modo di metterti lì con le musicassette ad ascoltare questo mostro sacro del Rock.


Non state notando anche voi un ritorno agli anni '90 in questo periodo?
Quelli che un tempo erano i ragazzini ora comandano il mondo...e io ho solo un blog.

Ora, io con la musica ho sempre avuto quel rapporto del tipo "mi piaci, ti ascolto fino allo sfinimento ecciao, il resto non mi interessa" e di conseguenza non mi sono mai informato riguardo la vita di Tizio Caio e Galileoooo perchè alla fine della fiera...sticazzi, però appunto a grandi linee sapevo quel poco che a quanto pare bastava per avere una visione più critica della pellicola.

Questo film dunque cosa fa? Racconta, o meglio dovrebbe raccontare, la vita di Freddie Mercury dal 1970 fino al Live Aid del 1985. 

Nato e cresciuto in una famiglia nativa di Zanzibar, Farrok incontra Brian May (chitarrista) e Roger Taylor (batterista) dopo che questi hanno finito di suonare a una serata universitaria. I due giovani rimarranno catturati dalla carica carismatica di questo sconosciuto coi dentoni e da quella sera inizieranno a intraprendere un'avventura di quasi vent'anni a base di musica, emozioni e rapporti difficili in quell'oscuro mondo della Musica fatta da gente piena di pregiudizi e affaristi.



Purtroppo il film è tutto qui.

Mi spiego meglio: leggiucchiando qua e là ho scoperto che questa pellicola prima di vedere la luce è stata sballottata un po' ovunque, passata di mano da vari registi e attori e soprattutto non è stato mai facile trovare un punto d'incontro fra la produzione e la supervisione di Taylor e May (John uomoinutile Deacon ha sempre ammesso che non avrebbe continuato a suonare nè ad avere a che fare con i Queen dopo lo scioglimento del 1995 dopo Made In Heaven e quindi pure qui egli è assente) i quali hanno imposto parecchi limiti.


A me è dunque sembrato che l'intento fosse quello di scrivere una storia diciamo più romantica e meno terrena, di un Freddie in balia di persone approfittatrici e dissoluto in quanto difficilmente accettato da altre persone anzichè forse più propenso alla vita mondana.


Insomma mi è sembrato che in questo film si volesse avere il freno a mano tirato per non mostrare particolari diciamo "sconci" dell'artista (che poi, trovatemi un cantante rock che non abbia avuto avuto trascorsi fuori dalle righe).

Ora, che Mercury fosse un uomo eccentrico e particolare lo sanno anche i muri. La sua vita non era casa e chiesa. Chi siamo noi per giudicarlo? Era un uomo di eccessi, decisamente fuori dagli schemi; il punto è che queste cose il film non le mostra esplicitamente, lascia molti indizi velati, quasi come se si provasse imbarazzo a voler dire al mondo quello che in fondo si sa già. Che senso ha tutto questo?


Un Freddie solo e con dilemmi interiori, oltre che personali


Una scelta molto infelice, a mio avviso, perchè di tutto rimane la classica storiella a fine lieto e tragico, in cui un personaggio di umili origini raggiunge  fama e notorietà e per colpa di gente senza scrupoli e della sua ingenuità cadrà nell'oblio per poi riscoprire i veri valori della vita.


Ritroviamo Ditocorto in spoglie di avvocato manager; lavoro azzeccatissimo per le sue doti.


Non vi sembra una cosa già vista? 

Ora, so benissimo che romanzare è quasi d'obbligo in un film, fa parte del mestiere: però qui le romanzate portano completamente a un cambiamento della storia vera dei Queen, e questo quindi mi porta a una domanda: perchè sacrificare buona parte della verità che, ripeto, TUTTI conoscono per adattarsi a uno stile di narrazione?



Per essere alla portata del grande pubblico ed evitare gente indignata? Può essere.

[Spoiler]Nel dettaglio, i Queen non si sono mai sciolti, hanno preso del tempo per sè stessi e prima di esibirsi al Life Aid era stato pubblicato anche un album. Inoltre Freddie non disse a nessuno della sua malattia se non poco prima di morire.

Dunque se tu sei un fan dell'ultima ora un film del genere con le musiche originali ti piace da morire.


Se sei un fan della vecchia guardia, ecco, le reazioni sono molteplici: rimani sbalordito dalle performance di Rami Malek (Magnifico OoOoOoO), ridacchi per le precise personalità di ogni membro del gruppo, dal pacato May alla testa calda Taylor e all'uomoinutile Deacon o scuoti la testa per la paraculata?

Io onestamente ritengo che la risposta sia come nella musica, dopotutto: ognuno reagisce in maniera unica.

Ho provato veramente una grande emozione a riascoltare i grandi classici in un cinema, con attori perfetti (ottimo anche il cameo di Mike Mayers - se non cogliete guardatevi Fusi Di Testa e capirete-) e almeno l'idea da parte del regista di esprimere l'amore che tutto il mondo provava per questi quattro personaggi.



Malek veramente bravo a personificare Freddie, denti da coniglio inclusi!


Siete disposti a pagare il prezzo per vedere una storia molto romanzata anzichè la realtà? Pensate di superare il fatto che probabilmente hanno voluto rendere un po' buonista (odio usare questo termine ma haimè qui calza a pennello) la biografia di Mercury oscurandone la parte più selvaggia per avere un film ben poco originale e più adatto al pubblico di massa?


Personalmente alcune cose non le ho per nulla digerite, eppure riconosco che in certe scene avevo la pelle d'oca e la lacrimuccia era lì che scendeva, anche se il merito era ovviamente per la musica.


Quindi come uscire da questo loop? Io la vedo così: credo che difficilmente il popolino saprà mai la vita intima di personaggi famosi, e i film porteranno sempre a romanzare il tutto; e così non rimane che rassegnarci e, consci di questo, avere la coscienza di sapere che quella non è la realtà e quindi l'unica cosa che conta è che è stato comunque girato un film per rendere omaggio a uno dei più grandi talenti canori della storia.


Se per voi il ragionamento è corretto, andate al cinema e vi emozionerete. Altrimenti YouTube è pieno di video musicali e penso che possa tranquillamente bastare per i fan ancora più genuini del sottoscritto che a quanto pare si è fatti fregare dalla colonna sonora completamente originale.

E con ciò, questa rimane una pellicola che non avrà il voto finale.

Voto: SV

martedì 6 novembre 2018

Lo Schiaccianoci e i quattro regni

Ho visto questo roba circa una settimana fa.

Poi mi sono ammalato di brutto. Tirate voi le conclusioni



Titolo originale: The nutcracker and the four realms
Paese: USA
Anno: 2018
Regia: Lasse Hallstrom & Joe Johnston 
Cast: Keira Knightley, Mackenzie Foy, Jayden Fowora salcazzo
Genere: Boh


Cosa dire di questo film?

Ci troviamo a Londr...

No ragazzi, seriamente: io non ce la faccio.


Questo era un film con un potenziale ENORME, la storia era praticamente già scritta, una delle fiabe più famose del mondo che, con un paio di arrangiamenti e forte della meravigliosa musica di Cajkovskij, avrebbe fatto un successo garantito.



Bastava fare una cazzo di cosa sola: seguire bene le istruzioni. Voglio dire, cosa ci sarebbe stato di così difficile? La Disney è piena di soldi, attori di spessore ne stanno emergendo tantissimi.

E invece.

Ecco cosa in realtà è successo nel quartier generale della Disney, Inferno, centro della Terra: uno sceneggiatore neo assunto entra nell'ufficio del responsabile della sceneggiatura:

"Signore, non abbiamo mai sfruttato la fiaba di Hoffman e le musiche ad essa annesse! Pensi che pure quei raffinati della Barbie ci hanno pensato anni fa! Abbiamo una miniera d'oro fra le mani, e il bello è che è tutto già scritto!"

"Buona idea, però la musica non la mettiamo; facciamo giusto un piccolo cameo come a Fantasia, così i padri dei bambini che sono in sala sono contenti e ridono"

"Ma signore, in che senso senza musica? Sono inscindibili quelle cose! Possiamo fare magari un richiamo al balletto russo, sono i migli..."

"Macchè Russia, che quelli c'hanno ancora la salma di Lenin e il Comunismo lo combattiamo da quando il Principale iniziava a disegnare Topolino. Nono, al massimo mettiamo che è ambientato in quattro regni e uno è brutto, e la capitale ha qualcosa di simile a San Basilio, ma POCO. Per la musica al massimo ci mettiamo due scene di ballo e basta, sennò è troppo serio"



"Beh, sarebbe un po' diverso dalla storia, ma tutto sommato penso possa andare bene. Per il resto, direi che Re Topo lo facciamo in CGI! Già me lo vedo, crudele, la spada in mano guida il suo esercito verso lo Schiaccianoci nel pavimento della stanzetta di Clara. Niente sangue ok, ma sarà una cosa epica!"

"No, non hai capito nulla! Il film è per bambini, deve fare ridere! Il topo lì è buono, simpatico, fa le facce buffe e fa ridere un casino. Niente guerra, per carità. La guerra non fa ridere"

"Ma almeno il protagonista..."

"LA protagonista, deficiente! Ci vogliono stereotipi di femmine positive e indipendenti sennò una fetta di pubblico ce la perdiamo! Mettiamoci un'attrice acqua e sapone che abbia una sola espressione e senza alcun carisma, piacerà a tutti. Ah, e questa non deve avere mica la mamma. Una bella tragedia ci vuole, perchè le mamme intelligenti non fanno ridere"



"Una tragedia che faccia ridere? Ma è impossibile! E quindi chi è l'antagonista? Facciamo che il «male» è qualcosa di più intrinseco così i bambini imparano qualcosa?"

"No, il cattivo lo facciamo fare alla seconda attrice più costosa del cast. Ovviamente deve essere buffa e stramba per far ridere i bambini"

"...e lo Schiaccianoci quindi dove lo mettiamo? Era lui il protagonista."

"Ma chissenefrega! E' la ragazzina che è importante, le bambine si immedesimano e comprano più dei maschi. Prendiamo un negro a caso così le comunità afroamericane non si indignano e gli diamo la parte"



"Morgan Freeman?"

"Macchè, quello al massimo può fare un personaggio che appare due o tre volte per fargli dire frasi senza senso. Per il co protagonista prendi un signor nessuno, pagalo in voucher e buoni mensa ecciao; se non ha manco la pagina su Wikipedia meglio ancora.  Ah, sticazzi del fatto che sia uno schiaccianoci che si trasforma, noi quella parte noiosa la saltiamo. Lui in realtà incontra Clara per sbaglio mentre sorveglia un ponticello piccolo. Questo farà ridere tantissimo il pubblico".

"..."

"E' tutto"

"Ma si parlava di un film spettacolare!!! Dove sono gli effetti speciali? La musica? Il balletto? Dov'è l'amore per l'arte, per la cultura? Cazzo, si diceva che pure Bocelli avrebbe contribuito nelle musiche, e vedo ora che apparirà solo nei titoli di coda!"

"Vedi caro mio, io so che è tutto sbagliato, avremmo potuto fare di più e probabilmente spendendo di meno...ma sai: al giorno d'oggi quel che conta è l'apparenza. E noi con quella siamo bravissimi! I contenuti seri e maturi non piacciono a nessuno, figurati"

"...io mi dimetto!"

"ok, prima di uscire però passami la sceneggiatura di Star Wars XXX : L'impero Galattico contro Iron Man, devo migliorare un po' quella parte in cui Yoda scopre di essere parente di Winnie The Pooh."

sipario.

Voto: Una valle di lacrime

giovedì 25 ottobre 2018

A star is born



Titolo originale: A Star Is Born
Paese: USA
Anno: 2018
Regia: Bradley Cooper
Cast: Bradley Cooper, Lady Gaga, Sam Elliott, Dave Chapelle
Genere: Drammatico, sentimentale, musical

Buongiorno a tutti miei cari lettori.

Vorrei condividere con voi tutte le mie impressioni sulla prima fatica da regista (oltre che attore e co-sceneggiatore) di Bredley Cooper. Stiamo parlando di A Star Is Born, il terzo rifacimento dell'omonimo film del 1937 di Wellman, seguto da quello del 1954 (con la Garland) e da un'ulteriore versione del 1976 con Barbara Streistand.

Jackson Maine è una rock star all'apice della sua carriera; il pubblico lo ama, il tutto esaurito è uno status quo delle sue tappe e non potrebbe essere più felice per la sua vita. 

Il punto è che lui non lo è per niente: egli affoga le sue paure e i suoi tanti traumi infantili nell'alcol e in forti medicine, e mentre realizza che i troppi concerti e la malattia all'udito che ha da quando è bambino lo stanno portando alla sordità completa, ecco che in un bar da quattro soldi conosce la bellissima Ally, intenta a cantare la famosa canzone La Vie en Rose.
Folgorato da questa meravigliosa voce e dal carisma di lei, Jackson pensa di aver trovato un talento puro e un'anima gentile nella sua vita tormentata.

Ogni pellicola è figlia del suo tempo e conseguentemente questa sotto molti aspetti si allontana da quella originale del 1937; in dettaglio, abbiamo fra le mani un melò moderno, che intreccia il melodramma con sprazzi di commedia sentimentale avvolti in un musical. Diciamo quindi che lo stile originale è frutto sicuramente di un buon lavoro di testa del regista, che ha imbrigliato dei generi diciamo "standard" e li ha ben mescolati tra loro. Apprezzabili le scene musicali dei concerti, in cui ho notato un gusto delle luci simili alle pellicole degli anni '80.

Esattamente, sto parlando delle luci al neon rosse, quelle non ce le toglieremo mai



Jackson mi piace definirlo come un "poeta decadentista moderno", il quale possiede una luce nel suo animo che lo porta a scrivere canzoni, un fuoriclasse del blues che può essere etichettato come genio & sregolatezza; dall'altra parte invece troviamo Ally, un talento vero e proprio, quella persona che ha una grande capacità di osservare la realtà ed estrapolarne il senso che viene commutato in canzoni.

Da questi due nasce una bellissima storia d'amore, fatta di buio e luce, passione e fragilità umana.

Bradley Cooper, se da una parte si conferma un bravissimo attore, stupisce per le sue performance musicali sul palco (tutte le canzoni sono state registrate senza un post produzione) e per la saggezza nel riconoscere chi è migliore di lui quando si tratta di cantare; non c'è da stupirsi infatti che Lady Gaga nelle scene dei concerti si muova con naturalezza e si trovi a suo agio rispetto nella pura parte recitativa in cui appaiono alcuni limiti.



Ci sono fior fior di attori/registi che, presi da manie di protagonismo (a volte giustificate a volte meno) sono sempre al centro del film, qui invece no: ognuno rispetta gli spazi dell'altro, consci dei propri ruoli; e se nella realtà ci sono regole non scritte che permettono la produzione del film, la storia narrata usa le regole dell'amore.

A star is born parla della nascita di un amore; un amore sbocciato per caso, in una situazione difficile e molto particolare, data la natura dei due personaggi; e se in vari punti della storia, grazie anche alle grandi prove recitative del cast, sembra che tutto sia in bilico, ai due personaggi basta solo guardarsi negli occhi per capire che insieme possono farcela.




Forse è per questo che la storia, seppur con un plot narrativo non del tutto originale, è riuscita a riscuotere così tanto successo: caratterizzare i personaggi in modo fine, "essere standard andando fuori dagli schemi" portando quindi a una maggior capacità del pubblico a immedersi nella storia sono tutti elementi genuini che rendono questo film emotivamente forte e trascinatore.

Consiglio vivamente la visione, una pellicola che secondo me intraprenderà la strada per gli Oscar, Cooper e musica potrebbero addirittura vincere.

Voto:9

giovedì 4 ottobre 2018

Sulla mia pelle




Titolo originale: Sulla mia pelle
Paese: Italia
Anno: 2018
Regia: Alessio Cremonini
Cast: Alessandro Borghi, Max Tortora, Jasmine Trinca
Genere: Drammatico


NB: Sapevo fin da subito che questo film mi avrebbe colpito molto emotivamente. Sapevo che non sarebbe stato facile scrivere una recensione a riguardo. Ho quindi deciso di scrivere in un colpo solo, senza rileggere e senza pensarci su troppo. Questo per trasmettere le mie emozioni sullo schermo, senza troppi filtri diciamo. Quindi saranno probabilmente presenti errori di ortografia o cose del genere, cose di cui mi scuso.


Ora, questo è un blog di cinema e, come ho sempre fatto, cerco di analizzare la pellicola tale quale in modo da non farmi influenzare troppo dai fatti realmente accaduti.
Ci sono infatti fior fior di film sulla seconda guerra mondiale, ad esempio, che sono semplicemente penosi (Pearl Harbor, così su due piedi) nonostante trattino argomenti di spessore, mentre altri che magari possono raccontare fatti "leggeri" sono dei veri propri cult, come A Beautiful Mind o Cindarella Man.

Il succo quindi sta nei modi in cui una storia viene trattata;  gli attori devono incarnare un personaggio conosciuto in ambito extra cinematografico mentre il regista deve dosare con cura ogni scena, e la sceneggiatura essere il più coerente possibile.

Questa lunga premessa è fondamentale perchè in questo film si toccano temi caldi, bollenti.

E il risultato è stato sbalorditivo.

Reputo che questa pellicola sia FONDAMENTALE per il cinema italiano, in quanto ritengo sia un estremo atto di coraggio andare a toccare temi che vengono definiti scomodi verso lo Stato.

Nel panorama del cinema italiano i film denuncia scarseggiano, quindi questo sembra proprio brillare di luce propria in un panorama attivo ma non così tanto sotto i riflettori. Osare è rischioso ma in questo caso è stato vincente.

Vediamo la trama.

Un ragazzo, Stefano Cucchi viene fermato da tre carabinieri perchè visto consegnare qualcosa a un suo amico: durante la perquisizione essi trovano addosso al ragazzo ashish (21 grammi) e cocaina.



Egli viene quindi lasciato in custodia cautelare fino al processo del giorno dopo; davanti al giudice Stefano ha gli occhi tumefatti, la mascella dolorante e fa fatica a parlare.

Nei sette giorni seguenti Stefano continua a star male, viene curato con molta superficialità (anche per in fatto che lui stesso non voglia essere curato, giustificando quegli ematomi dovuti a una caduta dalle scale) e, cosa aberrante, non gli sarà mai possibile vedere il suo avvocato e soprattutto  i suoi genitori.



Il settimo giorno egli morirà e i suoi genitori lo verranno a scoprire solo per via di una notifica di autopsia.

Davanti a un fatto del genere cosa si può dire?

Sì può commentare in maniera fredda e distaccata? No.

Io non penso di farcela. Vuoi perchè questo fatto è molto vicino a me, in quanto la morte di un mio quasi coetaneo all'epoca dei fatti è sempre un colpo al cuore o vuoi perchè le scene di crudo realismo con Alessandro Borghi che recita magistralmente sono una vera e propria tegola che colpiscono l'animo.

Il film non verte esplicitamente sulla denuncia, impedendo ai sui detrattori un possibile attacco nei suoi confronti; per quanto il regista avesse l'occasione di farlo, egli ha preferito la strada della cruda narrazione dei fatti che ha portato alla tragica conclusione; sta infatti allo spettatore tirare le conclusioni.

Infatti tutti conoscono l'epilogo drammatico della storia, eppure quella scena, in cui viene mostrato il corpo esanime di Stefano, su un lettino, è stata così forte e così dolorosa che una ventata di rabbia, delusione e paura mi hanno investito prepotentemente, mi sono sentito indifeso e soprattutto incapace per non aver fatto nulla per lui.



Io non so cosa possono aver provato i veri genitori di Cucchi nel guardare questo film, ma se per me è stata dura (non ho potuto trattenere le lacrime) non oso immaginare per loro e gli mando un grande abbraccio.

Sia ben chiaro, la pellicola non mistifica Stefano: non era un santo, era una persona che ha commesso degli errori e che lo Stato avrebbe dovuto rieducare. Invece ha perso la vita in un modo orribile ed è giusto che chi ha contribuito a tutto questo paghi, così come avrebbe dovuto pagare lui per i suoi errori.

Film paurosamente drammatico e toccante, su Netflix è già disponibile per cui se avete l'abbonamento guardatelo: dopodiché rimanete in silenzio e pensate.



Voto: 10


PS: come già scritto,nè la pellicola nè tantomeno il sottoscritto vogliono accusare nessuno.

Voglio solo esprimere una cosa: è evidente che qualcuno arrecò tanta sofferenza fisica ed emotiva a Stefano e tutto ciò, insieme alla paura e alla solitudine lo portò alla morte.
Noi non sappiamo ancora chi lo fece e come lo fece; però gli artefici di questo delitto lo sanno, e si porteranno dietro questa cosa per il resto della loro vita.
E la teoria buddista insegna che tutto ciò che si fa nel mondo rimane marchiato nell'anima: tutto questo Male, tutto il dolore che gli artefici di questa storia hanno causato rimarrà addosso a loro per sempre. E il Male, prima o poi ritorna.

Quindi spero vivamente che se qualcuno di loro vorrà rimediare almeno in minima parte al male creato, si scrolli di dosso questo peso e dica la verità, sarebbe forse l'ultima occasione per non rimanere perduti dalla dannazione eterna.


Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte che mi cercarono l'anima a forza di botte

lunedì 17 settembre 2018

Mr Brooks



Titolo originale: Mr Brooks
Paese: USA
Anno: 2007
Regia: Bruce A.Evans
Cast: Kevin Costner, Dane Cook, William Hurt, Demi Moore
Genere: Thriller, poliziesco

Buongiorno a tutti miei cari lettori!

Come state? Avete passato delle buone vacanze?

Siete ufficialmente tornati alla vostra routine quotidiana consistente magari in un lavoro sottopagato con un capo scassapalle mentre Salvini e Di Maio ci danno lezioni di vita?

Dura eh? Non vi da fastidio tutto questo? Avreste voglia di uccidere qualcuno? Come dite? A volte  nonostante siate da soli in casa intraprendete discorsi con un essere umano che solo voi vedete e che vi spinge a commettere omicidi? In tal caso penso sia opportuno chiamare qualche specialista a riguardo, dato che io purtroppo sono solo un blogger neanche tanto costante nella scrittura.

Però se vi ho incuriosito avete il via libera per andare a guardare il film che tratterò oggi, ovvero Mr Brooks di Bruce Evans, pellicola noir/thriller del 2007 (e poi leggere questa recensione ovviamente).

Se invece siete solo affamati di nuova conoscenza continuate pure a leggere la recensione!

Se invece non si siete mai posti una domanda nè siete stati mossi da ben che minima curiosità vi chiedo scusa se ho tirato in ballo i vostri beniamini politici e ritengo che sia doveroso linkare questa pagina.

Dunque, visto che in estate la gente viaggia e i cinema chiudono, è piuttosto difficile commentare qualche film nuovo, anche se mi aspetto qualche bella pellicola in questi mesi, ora che sto per fare l'abbonamento al cinema spero di avere più materiale a disposizione!

Allora si va alla ricerca di qualcosa di meno recente e io mi sono imbattuto in questa pellicola decisamente non famosa e al tempo stesso semi stroncata dalla critica, anche se ormai mi sto rendendo sempre più conto di quanto essa non sia più una "fonte attendibile" (ma di questo ne parlerò in futuro).

Partiamo quindi con la trama!

Earl Brooks (Kevin Costner) è un ricco e rispettabile uomo d'affari, padre di famiglia premuroso e obiettivamente un uomo affascinante.

Però, ecco, lui uccide la gente. Questo è un bisogno fisico che egli sente, come se fosse una vera e propria droga. Non è cattivo di per sè, ma proprio non riesce a farne a meno.
E questa necessità la idealizza in Marshall (William Hurt), suo alter ego che sussurra e convince Earl a commettere quelle cose.  Egli diventa un maniaco dell'ordine e della cura dei dettagli, studia quella che è la sua preda e agisce in maniera fredda, cinica e senza alcuna pietà.

Il risultato è una scarica di adrenalina e di piacere fisico che, una volta terminati, portano a vere e proprie crisi di astinenza che il nostro uomo faticosamente prova a controllare.

Infatti il protagonista cerca di limitare al massimo i suoi crimini cercando di tenere a bada Marshall andando in terapia dagli alcolisti anonimi ma quando commette quello che dovrebbe essere il suo ultimo omicidio ecco che succede qualcosa di inaspettato...

Inquietante al punto giusto

Secondo il mio punto di vista, il regista è stato bravo a creare una grande empatia per l'anti - eroe della storia: Brooks riesce sempre a essere freddo, cinico ed estremamente calcolatore eppure mi è risultato difficile non tifare per lui viste le sue prese di coscienza e i suoi dilemmi interiori . D'altra parte c'è da evidenziare un'ottima prova recitativa di Kevin Costner, mai al di fuori dai panni del suo ruolo.

Nota di merito anche per Hurt, capace di essere forse il miglior amico di Brooks, colui che "lo capisce più di chiunque altro" e che, con poche espressioni e scene, riesce a interpretare un ruolo fondamentale con estrema naturalezza.

Ecco, ma se Brooks guarda nello specchietto vede la strada o Marshall? Dilemmone!


Invece dalla parte della giustizia, colei che dà la caccia a Brooks è Tracy Atwood, interpretata da Demi Moore, una nervosa e ossessionata detective alle prese con i problemi personali ma che farebbe di tutto pur di acciuffare quello strano assassino seriale.

Le ambientazioni sono da classico film noir e i personaggi sono tutto sommato ben caratterizzati; un merito anche alla fotografia che è riuscita a catturare prospettive interessanti, in modo da dare allo spettatore un senso di tensione costante per tante scene (purtroppo per motivi di copyright non riesco a postare un fermo immagine decente, vedrete che ci sono tanti richiami ai grandi classici del cinema noir - pedinamenti, notti buie e piovose, incastri di trama...-)


Insomma, un film che probabilmente non ha portato quasi nulla di nuovo al genere però secondo me fra un cast molto interessante e una bella trama ritengo che questo sia un film che meriti la visione. (per chi ha Sky lo può trovare on demand e no, non mi pagano per la pubblicità).

Voto: 7½

venerdì 1 giugno 2018

L'isola dei cani di Wes Anderson

L'isola dei cani

Titolo originale: Isle of Dogs
Paese: USA
Anno: 2018
Regia: Wes Anderson
Cast (voci dei doppiatori): Bryan Cranston, Edward Norton, Bill Murray, Bob Balaban, Jeff Goldblum, Frances McDormand, Greta Gerwig, Scarlet Johansson, Harvey Keitel, Liev Schreiber, Yoko Ono, Tilda Swinton, Ken Watanabe e, insomma, le voci di qualsiasi dei migliori attori oggi in circolazione!
Genere: animazione in stop motion, avventura, commedia, fantastico

Non volendo farmi "bagnare il naso" dal mio collega Luro che vedo molto in fermento e voglioso di rimetter mano con maggior frequenza a questo piccolo blog di quartiere, ho voluto un po' "impormi" di tornare a scrivere e pubblicare in maniera più articolata e "ricca" in termini di contenuti rispetto all'andazzo degli ultimi mesi a questa parte in cui pubblicavo, spesso a caldo, pareri diciamo caserecci, alla buona, direttamente sulla pagina "faccialibro" di questa piccola realtà di amanti (non contraccambiati sia chiaro) della settima arte!
Quindi, per chi avrà voglia, beccatevi la mia ultima recensione/analisi/parere spassionato o semplice elucubrazione di un folle!

Il film in questione è l'ultima splendida, magniloquente, fantasmagorica (e aggiungeteci pure tutti gli aggettivi e i superlativi che vi vengono in mente) opera del regista texano, newyorkese di adozione ma semplicemente cittadino del mondo intero, Wes Anderson!
Partiamo dal titolo "Isle of dogs" che, pronunciato velocemente, con un bel gioco fonetico, diventa "I love dogs" e fin da subito possiamo notare l'attenzione per i dettagli, la spiccata genialità e il divertissement verbale con cui al regista di Houston piace giocare con lo spettatore.
Ciò che seguirà saranno 101 minuti di regia mastodontica e certosina, di limpida perfezione e anche, perché no, di manierismo e barocchismo nelle immagini che, però, non sarà mai vuoto o privo di significato ma sempre associato a rimandi altri e a rimandi "alti"!
E, diciamolo fin da subito, tutta questa abbondanza di maestria tecnica e visiva sarà accompagnata da una delle migliori soundtrack di Alexandre Desplat (di recente vincitore agli Oscar per la colonna sonora altrettanto bella di "The Shape of Water - La forma dell'acqua" del mio amato Del Toro), una colonna sonora tambureggiante, dal ritmo incalzante che darà alla pellicola il tono di una marcetta, un tour de force verso la rivoluzione, verso la rivendicazione di diritti (dei cani ma anche delle persone) che il potere politico e l'apparato burocratico più turpe e meschino vogliono sopprimere e spezzare (prima grande tematica del film).

"Più umani degli umani", il quintetto di giovani rivoluzionari a quattro zampe!

Ma, in breve, di cosa parla questo film? Ecco una breve sinossi:"L'isola dei cani è ambientato nel Giappone del 2037, dopo una storia travagliata di antagonismo tra gatti e cani, il governo emana un decreto: a causa dell'influenza canina, tutti i cani verranno esiliati nella discarica, la Trash Island. Tra questi c'è Spot, il cane di Atari, un bambino di dodici anni che decide di andare sull'isola e riprendersi il cane, lì farà amicizia con altri cani dimenticati e tenteranno di sovvertire questo decreto".
Il teatro kabuki in azione!

Dopo un'intro memorabile che, sempre ritmicamente, ci presenta il contesto e la storia dell'atavica lotta tra cani e gatti (questi ultimi sostenuti e ben voluti dai burocrati e dai personaggi di potere che reggono la società giapponese di questo futuro prossimo distopico) tramite fermi-immagine che riprendono le caratteristiche stampe nipponiche dell'ukiyo-e e le rappresentazioni del teatro kabuki, faremo la conoscenza del giovane Atari e di un quintetto di cani "ribelli" che abitano quest'isola: Chief (Bryan Cranston), Rex (Edward Norton), King (Bob Balaban), Boss (Bill Murray) e Duke (Jeff Goldblum). Fin dalle prime battute ci si può render conto di come i cani siano quanto di più metaforico, Wes Anderson fa proprio lo stratagemma di utilizzare i cani per parlare di esseri umani e ci presenta il viaggio di formazione dell'anarchico cane del gruppo (Chief) che dovrà purificarsi di tutte le scorie senza perdere la sua individuale forza carismatica e che assurgerà a linea di condotta per tutti gli altri cani del gruppo. Il personaggio (o cane che dir si voglia) interpretato da Cranston rappresenta (come anche il bambino Atari successivamente) il classico e adorabile outsider tipico del cinema di Anderson: infatti, a differenza degli altri cani del gruppo che hanno tutti un passato di coccole, vizi e anche fama a mò di star del cinema hollywoodiano e rimpiangono i bei tempi in cui erano i felicemente fedeli "migliori amici" dei loro padroni umani, Chief, anche precedentemente, è stato sempre un cane randagio, "uno che morde", non ha mai saputo integrarsi all'interno di una famiglia (tema sempiterno del cinema a stelle e strisce) e non ha mai voluto aver un padrone al quale legarsi.
"Io mordo!" [cit.]

Come potete appurare anche da queste semplici premesse, non ci troviamo di fronte a un film che utilizzerà in maniera stucchevole o lacrimevole (alla "Hachiko" per intenderci) la figura dei nostri amici a quattro zampe ma, anzi quest'ultimi saranno utilizzati per costruire psicologie e caratteri complessi e stratificati e ci sarà, durante tutta la pellicola, un bel parallelismo tra questi giovani ragazzi cani ribelli, dotati di talenti che molto spesso non sono sinonimo di integrazione ma di esclusione e i giovani ragazzini umani, stanchi di uno status quo opprimente, che vogliono sovvertire le regole!
Dall'altra parte della barricata troviamo i felini: i gatti sono sempre rappresentati intorno agli uomini di potere (perlopiù personaggi gretti ed egoisti) e questa è un'altra delle trovate geniali di Wes, una trovata grottesca ed ironica, che diverte perché ci mostra come le discriminazioni, molto spesso, nascano da semplici e istintive o inspiegabili fissazioni/avversioni verso qualcosa o qualcuno in maniera totalmente irrazionale!
I felini ci introducono così all'interno del mondo dei burocrati, dei politici e degli uomini di potere e ci viene presentato un certo "rigore del potere", del verticalismo gerarchico, tipico della società giapponese o, meglio ancora, tipico dell'immagine che noi occidentali abbiamo in mente del Giappone! Infatti, un altro gran bell'espediente, presente non solo qui ma in tutta la filmografia andersoniana, è mostrarci luoghi, società e civiltà non per quello che realmente sono ma per come le percepiamo, per come ci è stato trasmesso un posto tramite l'immaginario della cultura pop e questo è valido per l'India del Darjeeling ("Il treno per il Darjeeling") o l'est Europa di "Grand Budapest Hotel".
Il creatore di mondi Wes Anderson e la magia dello stop motion!


Detto ciò, il film procede spedito, pieno zeppo di tutti gli orpelli grafici e gli accorgimenti registici tipici del cinema di questo autore: e allora ritroviamo le sue famose inquadrature simmetriche, un'estetica riconoscibilissima e bizzarra, carrellate orizzontali e verticali come non ci fosse un domani e, all'interno di questa perfezione geometrica, calibrata nei minimi dettagli, si inserisce un'altra (tendo a ripetermi) idea geniale: quella costituita dal caos delle zuffe che si verificano tra i vari personaggi in diversi momenti del film, zuffe rappresentate con il "polverone" tipico degli anime (cartoni animati ma spero che tutti lo sappiano) comici giapponesi, un polverone che genera caos per l'appunto ma un caos costruttivo e che ha il sapore della rivoluzione!
Ultimi, non meno importanti, aspetti rilevanti riguardano la struttura del film che presenta, e penso sia una novità per il cinema di Anderson, un'organizzazione del tempo non lineare, ricca di flashbacks e di flash-forwards, e la copiosa abbondanza di citazioni che avviene tramite suoni, immagini o aspetti registici.
Come già accennato, la colonna sonora riprende il motivetto, la marcetta ritmica de "I sette samurai" del dio del cinema orientale Akira Kurosawa (e, se non l'avete mai visto, non posso far altro che invidiarvi perché piacerebbe anche a me poterlo rivedere con occhi vergini, come fosse la prima volta e, da quel momento in poi, se vorrete scoprire il cinema di Kurosawa, non guarderete più la seppur magnifica filmografia di Leone nello stesso modo, vi sembrerà che nulla di ciò che il buon Sergio ha filmato sia veramente nuovo o innovativo ma tutto estremamente derivativo da ciò che ha fatto il grande maestro giapponese!) che, per intenderci, ha le stessa importanza di Orson Welles ("Quarto Potere", "L'infernale Quinlan") qua in occidente e sempre da Kurosawa viene ripresa la rappresentazione dell'epicità del viaggio e dell'impresa da compiere; la ricetta comprende anche qualche spruzzatina di Miyazaki qua e là ma, soprattutto, omaggi e citazioni ad altri due grandi filmakers nipponici: Ozu ("Viaggio a Tokyo", "Tarda primavera") per quanto riguarda la rappresentazione della parte urbana e Mizoguchi ("I racconti della luna pallida d'agosto", ho visto solo questo suo film ma vi posso assicurare che, se avrete voglia di vederlo, è una delle più belle esperienze cinematografiche che si possano fare) nella descrizione dei bassifondi o di un ambiente "disperato".
Altro che Alleanza! Eccoli i veri ribelli, i veri anarchici!!
Infine (tendo a tenerle per ultime) ecco alcune considerazioni sulle tante tematiche del film: il tema preminente della pellicola è quello della rivolta generazionale, di una progenie che vuole cambiar la classe politica dominante, una classe politica corrotta e autoreferenziale che ormai non ha più il minimo interesse verso il benessere dei cittadini né, tanto meno, verso il bene pubblico ("ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti in Italia è puramente casuale" ;) ); inoltre la bassezza di questa classe politica viene mostrata tramite l'abbandono e la deportazione di quelli che dovrebbero essere i migliori amici dell'uomo, proprio quei cani che hanno nel loro imprinting genetico la fedeltà e l'amore incondizionato verso il proprio padrone per quanto nobile o squallido possa essere. I cani deportati, oltre a ricordarci un triste passato, mettono in campo la tematica (penosamente un evergreen) dell'emarginazione e della paura del diverso.
Sempre riguardo l'aspetto politico del film, un'altra riflessione ho trovato molto interessante, quello di contrapporre la maniera fintamente perbenista con cui avviene il dialogo/scontro (l'autoritario sindaco Kobayashi, tutore del nipote Atari, lascia la parola nei dibattiti pubblici alle minoranze dicendo sempre "respect!" ma, dietro questa facciata, si nasconde una specie di yakuza che non si pone problemi a uccidere, corrompere, mentire o insabbiare) all'interno delle istituzioni manipolatrici, naturalmente propense alla menzogna e il populismo, al modo in cui avviene il dialogo politico nella comunità canina dove viene sempre messa ai voti una decisione, vengono ascoltate tutte le opinioni prima di votare e vi è il compromesso alla fine.
Compromessi e decisioni spesso mal accettate, ma accettate, dal protagonista-cane Chief che è sempre pronto a dire "no"e a dissentire mostrando anche il valore di un'opinione discorde o della protesta.

Si scioglierà anche il cuore fintamente di ghiaccio del nostro randagio!
Suo speculare (fin'ora mi son dimenticato di prenderlo in considerazione, nonostante sia il motore primario che innesca gli eventi, proprio perché entra in scena nella parte finale della pellicola) è Spot, il cane-guardia del corpo di Atari, un cane che, una volta deportato sull'isola, ha deciso di rompere la sua gabbia di benessere per diventare una sorta di leader politico, facendosi portavoce della sommossa tesa a rivendicare libertà e autonomia per i proprio simili.
Un'ulteriore tematica è quella dell'incomunicabilità, ben raffigurata tramite l'idea di non tradurre il giapponese parlato ma solo quello scritto, infatti non capiremo una sola delle parole pronunciate dal piccolo Atari mentre comprenderemo appieno i discorsi dei nostri adorabili quadrupedi pelosi!
Per concludere, vorrei porre l'accento sull'aspetto emotivo della pellicola che stavo per trascurare ma che non è meno importante di tutti gli altri citati fin'ora: oltre al primo livello, quello del rapporto di amore e amicizia tra un bambino e il suo cagnolino, si inserisce il ben più stimolante discorso sulla crescita, sull'andare avanti, sull'abbandonare vecchi istinti e cocciutaggini e, a volte, vecchi legami, e trovarne di nuovi, magari più profondi, più sentiti e che possano dare nuova linfa e speranza. Speranza e, nonostante tutto, positivismo per un futuro migliore!
Au revoir!
"Eccola laggiù, la prossima recensione a tema canino!"

Voto

P.s.: forse di più è troppo nonostante mi sia piaciuto moltissimo, di meno è troppo poco! Vi lascio con la promessa di tornare a breve su questi lidi con un altro film che ho amato e che, insieme a "Wind River", "Tre manifesti", "Il filo nascosto" e pochi altri, si appresta a diventare uno dei migliori dell'anno: sto parlando, rimaniamo sempre in tema canino, di Dogman di Matteo Garrone!

P.p.s.: mi viene in mente solo ora ma se volete saperne un po' di più sul processo creativo che sta alla base della stop motion vi linko questo interessante video: